Ormai è chiaro che se Benjamin Netanyahu ha accettato la tregua è a causa delle forti pressioni fatte su di lui da Donald Trump. Il presidente eletto voleva uno stop ai combattimenti prima della cerimonia di giuramento, lunedì prossimo. È passato lo schema di cessate il fuoco proposto da Joe Biden mesi fa – e sempre rifiutato da Netanyahu – ma solo grazie alla spinta di Trump.
Da una parte, alla vigilia del suo insediamento nello Studio Ovale, il primo ministro israeliano non poteva dire di no al Tycoon; dall’altra, gli ha dato quello che voleva perché sicuro che la politica di Trump nei confronti di Israele sarà ancora più benevola di quella condotta da Joe Biden. Netanyahu aveva scommesso sulla vittoria di Trump. Dopo un periodo di gelo tra i due, la scorsa estate, il primo ministro israeliano era volato in Florida per un incontro a quattr’occhi. Sul tavolo c’era il futuro assetto del Medio Oriente. Allora il quadro non era ancora quello che poi si è composto in questo sei mesi: la sconfitta di Hezbollah, la caduta del regime di Assad, il forte indebolimento dell’Iran.
Israele ha raggiunto obiettivi strategici che voleva da tempo, Netanyahu si è rafforzato di fronte alla sua opinione pubblica. Anche per questo ora ha detto si a Trump sulla tregua. Per avere una linea di credito. A questo punto il tema principale è il nucleare iraniano. Il governo israeliano vuole risolvere la questione con un massiccio bombardamento. Trump non è contrario, ma prima, forse, vorrà seguire un’altra strada, vedere se c’è lo spazio per un accordo che tolga a Teheran ogni possibilità di avere l’atomica.
Il nuovo presidente USA non avrà alcun interesse per la sorte dei palestinesi a Gaza e in Cisgiordania. E se non darà un segnale verde formale all’annessione di parte o dell’intera Cisgiordania, come vuole la Destra Israeliana, sarà solo perché non vuole inimicarsi l’Arabia Saudita, ma chiudere, invece, gli accordi di Abramo.