E’ bastato che il presidente della Repubblica a fine mandato facesse la cosa più logica e scontata dal punto di vista istituzionale, ossia lasciasse intendere che non è disponibile a un secondo mandato, che nella nostra Costituzione non è vietato ma non è nemmeno previsto dalla prassi, e i partiti sono andati in crisi sul Quirinale.
Rimane il nome di Draghi, il nome su cui si esercitano tutti. Han tirato fuori pure il suo barista che lo dà al Colle perché glielo ha detto la moglie, ed è iniziato il gioco su quale spritz i due bevano davvero, per confutare o smentire la notizia.Partiti e giornali di riferimento prevedono il domani di Draghi sulla poltrona attuale di presidente del Consiglio o su quella ipotetica di Capo dello Stato non in funzione di un ragionamento legato al futuro, ma sulla base di piani senza visione a lungo termine: quando andare a votare, a fine legislatura o prima? E come arrivare ai blocchi di partenza della campagna elettorale?
Se Mattarella avesse deciso di restare avrebbe risolto il problema, magari per un paio di anni. L’impressione è che i partiti, da soli, non ce la facciano e che in questo contesto il Pd tema di perdere per la prima volta una golden share sul Quirinale che credeva di detenere in maniera solida. L’incubo di Letta è ancora una volta Renzi. Molto più spregiudicato di lui, Renzi in una situazione del genere può davvero giocare su due tavoli, centrosinistra e centrodestra. Si potrebbe davvero avere un presidente espressione del centrodestra per la prima volta.
Ma il problema è che i nomi che circolano fino a oggi, al di là delle appartenenze, sono tutti ex qualcosa, bolliti politicamente se non proprio anziani all’anagrafe. L’ex presidente della Camera Casini, l’ex presidente del Senato Pera, l’ex presidente del Consiglio Amato. E lasciamo perdere Berlusconi per carità di Patria. Servirebbero nomi freschi, che dentro ai Palazzi si fatica a rintracciare. Servirebbe soprattutto un progetto a lunga scadenza e non questo, soffocante, fiato corto.
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