“Con il teleobiettivo che hai in mano, se volessi potresti far sembrare che c’è un sacco di gente dove in realtà ce n’è poca?”
“Certo, con la giusta inquadratura” risponde il fotografo. Un collega che ascolta non gradisce la domanda: “ma non dire puttanate“.
Milano, Darsena, il giorno dopo le fotografie incriminate a cui il sindaco Sala ha reagito con la minaccia: “C’è da incazzarsi, se succede ancora chiudo i navigli e i bar da asporto, è un ultimatum“.
I fotografi sono tutti lì, a cercare immagini. Forse immagini che dicano quanta gente ci sia davvero in giro, o forse in realtà solo belle immagini che raccontino una giornata di sole in un fine settimana di maggio in cui le persone escono a passeggiare, dopo essere state chiuse in casa due mesi. Compare un gruppo di ragazze in pantaloncini corti e rollerblade e tutti gli obiettivi sono per loro.
I fotografi si difendono: “la colpa non è nostra” incalza quello che si era risentito per la domanda “ma dei giornali che su una foto poi ci fanno i titoli e le campagne“.
I Navigli sono militarizzati. Mezzi della Polizia, dei Carabinieri e soprattutto della Polizia Locale fanno avanti e indietro di continuo. Gli agenti guardano tutto ma non intervengono mai, tranne quando un ragazzo si avvicina ai fotografi e ad alta voce spiega che quelle foto non sono state gradite. Arrivano due poliziotti in moto, uno suona il clacson, la cosa finisce lì.
Tutti quei lampeggianti perché Sala al mattino lo aveva detto: oggi mando i vigili.
“Sì, ma com’è il vostro lavoro?”
“È come raccogliere il brodo con un cucchiaino” dice una vigilessa appena arrivata per iniziare il turno.
Il punto è: quale sarebbe il brodo da raccogliere? Le persone in giro sono tante. In Darsena, sui Navigli, nel parchetto vicino. Adulti, giovani, genitori con i bambini piccoli, tante bici, qualche cane. La mascherina ce l’hanno tutti, tranne chi si avventa a correre sul pavé. Assembramenti non se ne vedono. Le coppie camminano vicine, gli altri tengono una distanza di sicurezza misurata a buon senso.
“La sola differenza con ieri è tutta questa Polizia che ieri non c’era” afferma un commerciante.
E l’ultimatum di Sala?
“Se il sindaco non vuole le persone deve chiudere” dice un uomo che afferma di vivere lì, sul Naviglio Grande. “Le persone escono perché possono” insiste.
“Ma ieri c’erano più persone?”
“No, ieri era uguale a oggi“.
Uguale a oggi. Anche il ragazzo del bar che vende aperitivi da asporto lo dice. Stessa gente.
Ma gli affari?
“Ieri quaranta cockail da asporto, oggi fino a questo momento otto“.
In un venerdi normale quanti ne fai?
“Quattrocento”
Forse il cockatil non è l’unità di misura più corretta. Allo storico negozio di fumetti, però, hanno numeri simili. Dieci volte meno di una giornata normale, le vendite.
Tanti, tra coloro che potrebbero tenere aperto, sono chiusi. La libreria che il primo giorno dopo la quarantena aveva riaperto ha le saracinesche giù. I bar che fanno l’asporto non sono molti.
Nessuno si azzarda a bere seduto sui muretti, la sorveglianza è continua.
Se non sono i vigili, sono le telecamere delle tv che sono tutte lì.
Le strade che prima erano il simbolo del divertimento ora sono il simbolo della paura. Non è dichiarata, nessuno dice di avere paura, tutti dicono di essere lì per passeggiare e prendere aria. Ma c’è. C’è nel modi di guardarsi l’un l’altro, c’è negli obiettivi che scrutano alla ricerca dello scoop, c’è nel “la mascherina” che sale come un rimprovero, anonimo, quando un ciclista se la abbassa un momento. C’è nei lampeggianti blu che fanno avanti e indietro e c’è quando a un certo punto uno di quei lampeggianti è quello di un’ambulanza che si ferma a lungo davanti a un portone.
Arriva il sindaco. Si scatta una foto dove c’è solo lui assieme a un vigile. Finisce sui suoi social. “Navigli, ora meglio. Grazie” la didascalia.
Il sole scende e scalda il colore dei lucchetti degli innamorati sul ponte dedicato ad Alda Merini, la poetessa che viveva qui, in un’epoca in cui era tutto diverso.
Foto dal profilo Instagram del sindaco di Milano Beppe Sala