Mentre in Italia su quello che sta avvenendo a Gaza e in Palestina il silenzio del mondo della musica continua ad essere assordante, non è invece affatto così a livello internazionale. La quantità e la qualità delle prese di posizione, delle produzioni discografiche, delle iniziative, sembrano anzi rappresentare un indice significativo del cambiamento di percezione rispetto alla questione palestinese e ad Israele che sta attraversando le generazioni più giovani: i democratici americani, con i sondaggi sulle intenzioni di voto per Biden, ne sanno qualcosa. E che in dicembre la superstar del momento, la cantante Taylor Swift, si sia fatta vedere ad una serata newyorkese del comico di origini egiziane Ramy Youssef destinata a raccogliere fondi per Gaza non è forse del tutto casuale.
Uno degli ambiti che più si stanno distinguendo per l’ampiezza della mobilitazione pro-palestinese è quello dell’elettronica culturalmente e politicamente più consapevole. Una scena all’interno della quale sono attivi numerosi artisti del cosiddetto “sud globale”, molto sensibili al tema del colonialismo e delle gerarchie che nel pianeta – all’interno degli stati e fra stati – si sono definite su basi razziali; e una scena diffusamente permeata dal femminismo e dalla presenza LGBTQ+, cioè da comunità che in modo crescente si riconoscono nella causa palestinese, vedendovi una ingiustizia che ne rappresenta molte altre.
DJ Magazine, un mensile britannico che da un trentennio è una bibbia per la musica elettronica da ballo e l’universo del Djing, in un articolo nel suo sito (aggiornato al 3 gennaio) ha repertoriato una ventina di iniziative discografiche, per la maggior parte raccolte di brani di vari artisti, allestite in questi ultimi mesi per manifestare solidarietà alla popolazione di Gaza e per raccogliere fondi per organizzazioni, come Medici Senza Frontiere, che a Gaza operano. Un riferimento per questa presa di parola attraverso la musica è stato nell’ottobre scorso una lettera aperta lanciata dal collettivo di creativi londinesi Ravers for Palestine.
Dopo avere ricordato che la “comunità della musica elettronica offre spazi di liberazione, resistenza e comunità in particolare per persone queer e marginalizzate”, la lettera dichiarava di voler reagire al silenzio della scena elettronica di fronte alla violenza di Israele contro 2.3 milioni di palestinesi, ricordava il ruolo del governo inglese a sostegno dei bombardamenti e del blocco di Gaza, e concludeva con una affermazione importante: “Rifiutiamo di partecipare a spazi e collettivi che ignorino la violenza del colonialismo mentre traggono profitto dalla creatività dei musicisti e degli artisti del Sud globale e delle comunità della diaspora”.
La lettera aperta è stata poi firmata da centinaia di DJ, produttori, collettivi e locali legati alla scena elettronica della capitale britannica. Una delle più interessanti fra le iniziative discografiche di ambito elettronico in solidarietà con Gaza è la compilation For Palestine, 64 brani pubblicati dalla etichetta di Barcellona Paralaxe Editions, il cui ricavato è interamente destinato a Médicins Sans Frontières.
Tra i nomi che hanno partecipato claire rousay, KMRU, The Soft Pink Truth, Azu Tiwaline, Cucina Povera. La co-fondatrice di Paralaxe Editions, Dania Shihad, è una donna araba della diaspora e oltre ad occuparsi di questa etichetta, è un medico di medicina di emergenza; in una dichiarazione su For Palestine si presenta come “una persona normalmente riservata”, ma che come medico, donna e araba la cui vita è stata sradicata dalla guerra per responsabilità dell’occidente, ha sentito di dover agire di fronte a quello che stava avvenendo a Gaza, e per realizzare una compilation destinata alla raccolta di fondi ha fatto appello ad amici, colleghi e artisti di diverse provenienze geografiche, sociali e etniche.