Favorire il sapere multidisciplinare e non solo quello specialistico. Farlo a partire dalle scuole e non solo – quando capita, raramente – praticarlo nelle università.
E’ quanto si ricava dalla doppia conversazione ospitata a Memos con lo storico Piero Bevilacqua (Università La Sapienza di Roma) e il sociologo Ambrogio Santambrogio (Università di Perugia).
Bevilacqua ha proposto di costruire una mappa degli studiosi italiani di varie discipline. «Vorrei tenere insieme – racconta lo storico della Sapienza di Roma – gli studiosi di urbanistica, diritto, sociologia, filosofia e così via. Mi propongo un’operazione sussidiaria che dovrebbe essere svolta in realtà dalle università. E’ un lavoro di connessione che una volta facevano i grandi partiti di massa, gli intellettuali collettivi (come li chiamava Gramsci). Questi soggetti non solo tenevano unite le varie competenze disciplinari, ma le piegavano alla costruzione di un progetto di società».
C’è un caso, non unico ma sicuramente raro, che rappresenta un tentativo di dar vita ad un lavoro multidisciplinare. E’ quello dell’Università di Perugia. Nel dicembre scorso l’ateneo perugino ha organizzato per la prima volta un convegno interdipartimentale. Tema: la bioetica. A coordinare il lavoro è stato il sociologo Ambrogio Santambrogio.
«Il convegno, organizzato presso il dipartimento di scienze politiche dell’Università di Perugia – racconta Santambrogio – ha avuto una caratteristica peculiare, nuova per la nostra università: sul tema della bioetica sono intervenuti non solo sociologi, psicologi, antropologi, ma anche giuristi, economisti, medici, ingegneri, agronomi. Dietro c’è un’idea metodologica: mettere insieme i saperi che provengono da discipline che in genere lavorano ignorandosi l’una con l’altra».
Perché, professor Santambrogio, è necessario un lavoro interdisciplinare?
«L’interdisciplinarietà – sostiene il sociologo – è una delle grandi risorse che le università devono poter sviluppare nel futuro, soprattutto da un punto di vista critico. I saperi diventano sempre più specialistici e tecnici. Non solo si ignorano sociologi con medici o ingegneri, ma alle volte il lavoro di un ricercatore è sconosciuto al suo vicino di studio. Tutto ciò è dovuto al fatto che c’è una grandissima specializzazione nel sapere. Certo, la specializzazione è inevitabile, ma deve poter essere ricomposta. Diversamente otteniamo due obiettivi deteriori. Il primo: un sapere molto specialistico è sempre e solo funzionale al mercato. Il secondo: si corre il rischio di sapere “tutto di niente”. Ogni ricercatore si specializza su un tema talmente piccolo, minimo, da non riuscire più a vedere il contesto generale. Inoltre – prosegue il professor Santambrogio – la scienza specialistica è sempre più in grado di rispondere solo alla domanda “come?” piuttosto che alla domanda “perchè?”. Faccio un esempio stupido: se decidiamo di andare su Marte, le scienze specialistiche sono in grado di dirci “come andare su Marte”, ma non “perché andare su Marte”. Ho il timore che una dimensione scientifica sempre più attenta al “come” pensi di non poter dare alcun contributo alla domanda sul “perché“. A questo punto le domande sul “perché” verrebbero affidate a dimensioni del tutto irrazionali: la religione, le ideologie. Penso che la scienza, quando è capace di rimettere insieme i suoi saperi, possa dare un contributo importante. Ad esempio, fornire alla comunità dei cittadini un sapere pubblico, condiviso, critico. La scienza – conclude il sociologo Santambrogio – può aiutare anche ad avere una maggiore consapevolezza intorno alle questioni del “perché“».
Professor Bevilacqua, abbiamo visto il caso dell’Università di Perugia che ci ha raccontanto il sociologo Santambrogio. Che differenze ci sono con la sua idea di mappatura degli studiosi italiani di diverse discipline?
«Un convegno di bioetica – risponde Bevilacqua – si presta molto all’interdisciplinarietà. Studiare l’etica della vita, studiare la vita, comporta la chiamata di saperi molteplici e diversi. In ogni caso penso che già nella scuola bisognerebbe cambiare il modo con cui i ragazzi si avvicinano alle scienze. Pensiamo alle scuole superiori: ai giovani oggi si danno libri di testo di fisica, di chimica, botanica e così via, mentre occorrerebbe iniziare a portarli fuori, far osservare loro come si comporta una pianta, come vivono gli animali, come interagiscono gli esseri viventi con i fenomeni climatici circostanti. Insomma, dovrebbero cominciare a studiare la natura in maniera olistica, ricomponendo le varie discipline. Non possiamo dimentricare che discipline come la chimica, la fisica, la botanica, la geografia e altre, hanno smembrato la natura. La natura, invece, è un tutto, è una rete di correlazioni profonde. Oggi, grazie alle scienze ecologiche, scopriamo che questo smembramento è avvenuto per ragioni di funzionalità, per studiare meglio le parti separate della natura. Abbiamo, invece, un estremo bisogno di ricomporre questa frantumazione dei saperi e delle scienze: certamente ci ha dato molto, ma ci ha fatto perdere di vista il tutto. C’è una grave sfasatura che domina i saperi della nostra epoca: tra un’iperpotenza tecnologica e una modesta conoscenza scientifica dei fenomeni globali. Il caso più eclatante – prosegue Bevilacqua – è quello del buco nell’ozono. Gli scienziati hanno costruito in laboratorio i gas clorofluorocarburi che si sono rivelati di straordinaria utilità pratica (ad esempio, per la refrigerazione), ma poi si è scoperto che questi gas laceravano gli strati alti dell’atmosfera. In questo caso abbiamo mostrato che gli scienziati sono bravissimi a produrre strumenti tecnologici, ma che ciò è avvenuto nell’ignoranza completa delle conseguenze globali provocate da tali strumenti».
La sua proposta di mappatura degli studiosi italiani a cosa dovrebbe servire, professor Bevilacqua?
«Sono convinto che mettere insieme diversi saperi aiuti ad avere uno sguardo molto più largo e profondo della società contemporanea e dei meccanismi del capitalismo. Permette di modificare non solo la realtà economica e sociale, ma anche la natura e altri aspetti del nostro tempo come la spiritualità umana, la psicologia, l’antropologia. Credo che mettere insieme diversi saperi e competenze aiuti a creare una rete dove si produce nuova cultura e nuova spiritualità. Naturalmente si producono anche nuove conoscenze che servono a governare economicamente il mondo. Tutto ciò è possibile anche con i mezzi modesti della mappa che propongo. La società italiana – conclude Piero Bevilacqua – ha grandi potenzialità. Abbiamo il fior fiore degli studiosi, sia giovani che anziani e di tutte le discipline, in grado di dare un contributo forte all’avanzamento della conoscenza. Ed è un contributo che serve al nostro paese e a tutti».
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