È passato da poco mezzogiorno quando la voce del parroco di Stresa scandisce i nomi di quattordici persone in vetta al monte Mottarone. A pochi metri, c’è la stazione d’arrivo della funivia. In quegli stessi momenti, un anno prima, la cabina numero 3, quasi al termine della salita, improvvisamente prendeva velocità verso valle. Precipitava per quasi duecento metri, prima di cadere sul fianco della montagna e lasciare a terra quattordici persone. Le stesse di cui oggi, un anno dopo, sul Mottarone, vengono ricordati i nomi e vengono commemorate le morti.
La montagna in auto è lontana più di venti chilometri dal paese di Stresa. La funivia la rendeva raggiungibile in pochi minuti, ma ora è sotto sequestro. Al lido di Carciano, in riva al lago Maggiore, l’ingresso è sigillato dal giorno della strage. Delle buste aperte, con dei brevi messaggi, preghiere laiche per le vittime, sono infilate nelle fessure della porta d’ingresso. Un mazzetto di fiori è stato legato da qualcuno alla maniglia. Oltre a questi piccoli segni e alle locandine dei giornali fuori dalle edicole, in paese non si ritrova altro che un anno dopo ricordi agli stresiani l’anniversario e le commemorazioni. Provando a chiedere un ricordo di un anno fa a chi s’incontra fuori da un bar qualcuno dice che in dodici mesi sono successe tante altre tragedie, dalla guerra in giù, che quasi è difficile ricordare quella domenica 23 maggio 2021. Qualcun altro, invece, preferisce non dire niente e subito sembra in difficoltà a controllare le emozioni. Le parole degli esercenti di una libreria ricordano come la distanza fisica dal luogo della tragedia rendesse frammentarie le informazioni anche in paese.
Le persone indagate più conosciute a Stresa sono Luigi Nerini, il titolare della società che gestiva la funivia e il caposervizio Gabriele Tadini. In interrogatorio, Tadini aveva detto di aver manomesso il sistema di sicurezza della funivia per ovviare a un’avaria senza dover tenere fermo l’impianto. È stato agli arresti domiciliari finché non sono scaduti i termini della misura cautelare, ora è in libertà.
Le indagini ancora devono concludersi e non è certo che termineranno a breve, com’è previsto, in estate. Anche per questo è risuonata forte la richiesta di giustizia alle commemorazioni sul Mottarone. Sul luogo dov’è precipitata la cabina della funivia, nel bosco della montagna, è stata svelata una stele. Un piccolo monumento in ferro battuto, molto semplice. Anche qui ritornano i nomi dei quattordici morti. Ad assistere allo svelamento e a partecipare alla messa in vetta c’erano alcuni familiari delle vittime. A loro è andato il pensiero della procuratrice di Verbania Olimpia Bossi, la persona incaricata di fare avanzare le indagini.
In vetta al Mottarone, il silenzio e il senso di abbandono dominano lo scenario vicino alla stazione della funivia. Il piazzale diventa deserto pochi minuti dopo la fine della messa, l’albergo lì di fronte sta per chiudere definitivamente dopo un secolo di attività. A voler dare voce a quel silenzio, è la signora Teresa Pelaggi che sulla cabina numero 3 della funivia, un anno fa, ha perso la figlia, il genero e il nipote di 5 anni.