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La strategia militare non basta

La campagna per la riconquista di Mosul, la seconda città irachena dal 2014 nelle mani dell’ISIS, ha mosso i media di tutto il mondo. Da alcuni giorni ci sono centinaia di giornalisti al seguito delle truppe irachene o dei peshmerga curdi che raccontano gli ultimi sviluppi dal fronte. Chi avanza, chi arretra, quanti morti o quanti feriti.

La battaglia per Mosul è ovviamente importante. Se l’ISIS dovesse perdere della città rimarrebbe senza il suo principale centro urbano e senza un punto strategico insostituibile per il controllo del territorio. E poi sarebbe una sconfitta che si andrebbe ad aggiungere alla perdita di territorio negli ultimi mesi in Siria.

Lo Stato Islamico è senza dubbio in ritirata, è stato forzato a cambiare strategia, è entrato in una nuova fase della sua esistenza. Ma tutto questo non vuol dire che sia destinato a scomparire. Nell’ultimo anno c’è stato un aumento esponenziale degli attentati, soprattutto attentati kamikaze, in casa e fuori, pensate a Parigi e Bruxelles. Oppure ai fatti di Kirkuk di queste ore.

Nonostante le tante difficoltà del momento l’ISIS sembra avere le risorse per sopravvivere. E concentrarsi solo sul fronte militare, come stanno facendo le diverse forze al fronte verso Mosul e la coalizione internazionale a guida americana in Iraq e in Siria, sarebbe un grave errore strategico.

Ne abbiamo parlato con Haid Haid, ricercatore siriana alla Chatham House di Londra.

La sconfitta militare dell’ISIS può portare alla sua scomparsa?

Se consideriamo quello che è successo pochi anni fa, quando l’ISIS, allora Stato Islamico in Iraq, venne militarmente sconfitto, capiamo per quale motivo oggi dobbiamo fare molta attenzione. Stati Uniti e governo iracheno non affrontarono il problema alla radice, non cercarono di risolvere i problemi che avevano permesso all’ISIS di nascere ed espandersi, creando le condizioni per il suo ritorno. E infatti l’ISIS tornò più forte di prima. Adesso siamo in una situazione simile: se continuiamo a combattere questa organizzazione solo sul piano militare, senza cercare di sradicare le cause del suo successo, rischiamo di tornare a breve al punto di partenza.

Qual è la forza dello Stato Islamico?

Fino a quando ci saranno tensioni, divisioni, problemi in Iraq come in Siria, l’ISIS continuerà a trarne vantaggio. Ci sono tensioni tra sunniti e sciiti, tra governo iracheno e curdi, tra tribù locali e governo centrale, tra diversi gruppi sciiti, anche tra Turchia e Iraq. Tutti questi nodi andrebbero sciolti. I problemi andrebbero affrontati e risolti, altrimenti l’ISIS potrà sempre presentarsi come il rappresentate o il difensore di uno specifico interesse, di una specifica minoranza.

Quindi cosa dovrebbero fare le tante forze che stanno partecipando alla battaglia per Mosul?

Innanzitutto dovrebbero affrontare due questioni che non sono mai state risolte: corruzione e divisioni settarie. E ogni volta che un territorio viene liberato dall’ISIS la sua popolazione dovrebbe essere reintegrata nella vita sociale e rassicurata sul fatto che potrà continuare a vivere in pace. Non bisogna punire o colpevolizzare le persone che hanno vissuto per anni sotto lo Stato Islamico. Loro non hanno colpe.

Ci sta dicendo che l’ISIS ha le potenzialità per sopravvivere anche senza il controllo di un determinato territorio…

Esattamente. L’ISIS è sempre stato capace di rinascere, di ricostituirsi, apparentemente dal nulla, e di aspettare il momento giusto per ricominciare a colpire più forte di prima. Quando sono stati sconfitti in Iraq hanno aspettato che ci fossero ancora le condizioni, questa volta anche in Siria, per tornare in azione. E lo hanno fatto alla perfezione, addirittura costruendo un loro stato. Ancora, se non risolviamo i nodi che alimentano l’organizzazione l’ISIS ritornerà. Rispetto a prima hanno anche sviluppato una fitta rete online.

  • Autore articolo
    Emanuele Valenti
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    Il raggiungimento dell’accordo per un cessate il fuoco a Gaza è stato celebrato ovviamente anche dai Palestinesi della Cisgiordania, ma per loro il timore è che proprio la Cisgiordania sia stata data in pasto alla destra israeliana per farle digerire la tregua nella striscia. A Jenin Martina Stefanoni ha raggiunto Ahmad Odeh, cittadino palestinese.

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