Liberare Mosul. E’ questo il tema della stampa irachena che fa eco ai piani del governo e della coalizione guidata dagli Stati Uniti.
La riconquista della base aerea di Al-Qayyara ha dato una spinta al morale dell’esercito. “Mosul è sotto tiro”, dice il portavoce delle forze armate irachene. La base aerea di Al Qayyara, infatti, dista soltanto 70 km dal centro di Mosul. I miliziani sono in fuga da diversi villaggi della zona, dopo la sconfitta a Al-Qayyara. Nella loro ritirata, verso Mosul o verso il confine siriano, si sono vendicati minando 5 pozzi petroliferi, causando così un ingente danno economico e un enorme inquinamento dell’ambiente.
In Iraq, come in Siria, il territorio sotto il dominio di Daiesh è sempre più ridotto. Rispetto al gennaio 2015, il cosiddetto Califfato di Al-Baghdadi ha perso il 45% dei suoi territori amministrati in Iraq. La sconfitta recente di Fallouja è stata cocente. L’arresto di alcuni suoi capi in fuga da Fallouja, truccati da donna dopo aver rasato la lunga barba, ha reso il movimento una barzelletta sulla bocca di molti, anche se c’è chi sospetta che questa sia stata una bufala propagandistica confezionata nei laboratori della guerra psicologica delle milizie Hashd Shabbi (Mobilitazione Popolare) di confessione sciita e a guida iraniana.
La campagna per Mosul non ha ancora una chiara strategia. Quale ruolo per i guerriglieri Peshmerqa curdi, che sono stati in passato la principale diga di contenimento contro l’avanzata del Daiesh? E soprattutto con quali alleati sunniti, il governo di Haidar Al-Abbadi vuole portare avanti la battaglia, senza che vi siano vendette messe in atto dalle milizie sciite, sue alleate? Sono domande che non si possono eludere, sia perché sono il nocciolo della crisi irachena, sia per i pericoli di coinvolgere nella battaglia un milione di civili ancora residenti a Mosul, amministrata dal sedicente califfato.
Il falso califfo sta perdendo terreno, ma non ci sono segnali sufficienti di resistenza all’interno della città da parte della popolazione. Per il momento, ci si è limitati ad azioni passive di contrasto allo strapotere dei miliziani, come scrivere sui muri la lettera M, iniziale di Muqawama, Resistenza.
Al di là dell’entusiasmo propagandistico, che fa dire ai capi militari “La vittoria è a portata di mano”, la questione è più complessa. Un analista iracheno scrive, oggi, che “i miliziani del Daiesh sono una minoranza, ma feroci e spietati e questa loro fama semina il terrore tra le gente comune. Senza la rivolta interna della città, sarà un bagno di sangue”.