La capitale di Lesbo, Mitilene, oggi è tornata ai normali ritmi di una domenica radiosa. Chiacchiere nei caffè, passeggiate, il centro riconsegnato al rado traffico di chi decide una gita fuori porta.
Lentamente. Come per i postumi di una festa inebriante: questo è stata la visita di Papa Francesco e del Patriarca, carica quest’ultima molto importante per gli abitanti di Lesbo che appartiene, spiritualmente, al Patriarcato di Costantinopoli. Insieme a loro, c’era anche l’Arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia: insieme, tutti e tre i gerarchi.
Per i profughi, ma anche per Lesbo, in un incontro – evento che, per l’isola, ha il sapore dell’ultimo fuoco d’artificio dopo l’esposizione mediatica degli ultimi mesi. Qui sull’isola, gli abitanti hanno sentito l’ammirazione del Pontefice, hanno ricevuto la solidarietà del Vaticano, ma anche dei vertici dell’ortodossia. E, insomma, pure il Sindaco ha fatto il possibile dopo i tentennamenti iniziali di poco più di un anno fa.
Sono contenti, questi Mitiliniesi. Come racconta la signora, fresca di parrucchiere, assaporando un espresso freddo: loro, per i profughi, hanno fatto il loro dovere: “Siamo tutti esseri umani. Immagina dover lasciare tutto. Immagina la guerra; no, non è immaginabile”. Poi un’impennata di entusiasmo: la signora è convinta che la visita del Papa darà una spinta al turismo dell’isola. Si ribatte che, però, Lesbo è anni che viene sostenuta dai turisti turchi. Dettagli, per la signora. Si può tornare al caffè, anche se nella sua città, tutti i negozi sul porto sono bilingui: greco e turco. Qualche volte prima turco e poi greco.
Mentre a Mitilene si assapora il caffè, appena fuori ci sono decine di ciclisti e coloro che corrono lungo le spiagge. Non ci sono bagnanti, il mare infatti è ancora gelido. Non ci sono, però, neppure sbarchi. Sono tornate alla normalità anche le spiagge, finalmente pulite dopo mesi drammatici, in cui gli sbarchi, anche d’inverno, erano centinaia ogni giorno. Ora, migranti e profughi non arrivano più qui, non dopo l’accordo di fine marzo Ue – Turchia. Chi è rimasto, è detenuto in attesa di espulsione verso la Turchia, nel centro di Moria. Pochi, i più fortunati, un po’ meno di 500, sono ospitati – liberi – nel campo di Karà Tepè. Tutti insieme, sono diventati i nuovi “invisibili” di quest’isola e di questa città che, intanto, fa finta di niente. Eppure, solo pochi mesi fa, per entrare a Mitilene si doveva passare tra uomini che cercavano di farsi una doccia tagliando i tubi, lungo il ciglio della strada nazionale, che portano acqua ai campi. Oppure, una volta in città, si doveva fare lo slalom fra tende piantate ovunque, dove c’era un po’ di terra libera. Anche davanti alle chiese.
A Lesbo dove, se si veniva per vacanza, ci si sentiva in colpa, mentre arrivavano gommoni carichi di gente mentre si faceva il bagno, sotto il sole di agosto. Dove si doveva spiegare ai bambini da cosa scappano, perché scappano migranti e profughi.
Intanto, donne e bambini profughi, fuori dalla porta, chiedevano di andare nel gabinetto di casa, di ricaricare il telefonino e qualche vestito asciutto, se nel frattempo era avanzato qualcosa. Si ripartiva con le valige quasi vuote, ma cariche di storie. Nel frattempo loro, gli abitanti di Lesbo, si stavano organizzando: vestiti stivati per sesso e per età. Pannolini, assorbenti e la taverna di Skala Skamias, a nord – est di Lesbo, sempre pronta a rifocillare i naufraghi. I pescatori, sempre all’erta, che quasi non possono più pescare e raccontano di cadaveri, portati alla superficie dalle loro reti.
Un incubo. Che nessuna visita papale potrà cancellare. Un pezzo di storia, ormai, di quest’isola. Però, intanto, la signora del caffè è contenta, orgogliosa. Papa Francesco è stato qui e forse ha visto che lungo le spiagge non ci sono più montagne di salvagenti e gommoni abbandonati, che solo l’estate scorsa avevano fatto scattare l’allarme ambientale per le tonnellate di plastica e gomma difficilmente smaltibili.
Quando il porto di Mitilene era diventato un campo profughi proprio come oggi quello del Pireo.