Approfondimenti

Milioni di persone al buio e senz’acqua in Ucraina, le ultime su quota 103, il ritorno dei voucher e le altre notizie della giornata

Il racconto della giornata di mercoledì 23 novembre 2022 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. Nuovo massiccio attacco alla rete energetica ucraina: secondo Kiev, Mosca ha lanciato 70 missili da crociera. L’inverno è già arrivato e con l’abbassarsi delle temperature la situazione umanitaria  nel Paese rischia di diventare drammatica. È in corso da poco, in una delle stanze del gruppo alla Camera dei deputati, l’incontro tra Angelo Bonelli, Nicola Fratoianni e Aboubakar Soumahoro, chiesto anche pubblicamente e con insistenza dai due leader dei due partiti che lo hanno candidato alle elezioni, presentandolo come un esponente simbolo della lotta allo sfruttamento dei migranti. “Cinquantamila vite perdute” è il titolo del rapporto pubblicato oggi dall’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni.

Il sistema elettrico ucraino è vicino al collasso

In Ucraina c’è stato oggi un nuovo massiccio attacco alla rete energetica. Secondo Kiev, Mosca ha lanciato 70 missili da crociera. 51 sono stati intercettati. Il resto ha centrato le infrastrutture energetiche del paese. Nei raid di oggi ci sono state anche alcune vittime civili: tre persone sono morte nell’area di Kiev, un neonato è morto nel bombardamento di un ospedale a Zaporizha.Gli attacchi hanno causato blackout nelle maggiori città, tra cui Kiev e Leopoli. Tre centrali nucleari sono state scollegata dalla rete elettrica. “Il sistema elettrico è vicino al collasso”, hanno detto le autorità ucraine. Milioni di persone si trovano in queste ore al buio, senza acqua corrente e senza la possibilità di riscaldarsi. In Ucraina l’inverno è già arrivato. Con l’abbassarsi delle temperature, la situazione umanitaria rischia di diventare drammatica.
Irene Viti è un’operatrice della ong Soleterre. Si trova a Kiev. Siamo riusciti a metterci in contatto con lei, malgrado le difficoltà di connessione

Quota 103 potrebbe essere un’enorme presa per i fondelli per lavoratori e lavoratrici

(di Massimo Alberti)

Partiamo da un dato: la riforma Fornero è viva e vegeta, e con lei un età lavorativa troppo lunga ed assegni troppo bassi. La norma che ha creato centinaia di migliaia di esodati è ancora lì nonostante i proclami leghisti, cui da sinistra è stata lasciata la battaglia contro una legge profondamente ingiusta. Prima la toppa di quota 100, tanto penalizzante sull’assegno che in pochi, rispetto alle stime, l’hanno scelto. Poi fu quota 102, altra toppa per evitare scaloni, ovvero che chi doveva andare in pensione magari l’anno dopo, si ritrovasse di colpo altri 5 anni di lavoro. Nessuno pensava che in un mese il governo facesse una riforma complessiva delle pensioni, per cui l’ennesima toppa era scontata. Il problema è che la toppa fa acqua da tuta le parti. Già di per sé è un peggioramento ed un innalzamento dell’età pensionabile. La soluzione proposta, in realtà, non è chiara e potrebbe essere ancor più peggiorativa. Al momento infatti, senza testi, si parla di quota 103 che sarebbe tale se solo uno dei due parametri, età o contributi, fosse vincolante. 65 più 38, 61 più 42 e cosi vi. Se fossero invece vincolanti entrambi i parametri, almeno 41 di contributi, ed almeno 62 di età, vuol dire che chi oggi ne ha, poniamo, 64 ma con 48 di contributi, l’anno prossimo non potrebbe andare in pensione ma si ritroverebbe uno scalone di almeno 3 anni. E quindi quota 103 sarebbe una enorme presa per i fondelli a lavoratori e lavoratrici. Già penalizzate dalla revisione di opzione donna. Se prima era a 58 per tutte, ora per chi ha un solo figlio si alza a 59, a 60 per chi non ne ha. Altro che “il governo che abbassa l’età pensionabile”.

Bonelli e Fratoianni chiedono un chiarimento a Soumahoro

(di Anna Bredice)

È in corso da poco, in una delle stanze del gruppo alla Camera dei deputati, l’incontro tra Angelo Bonelli, Nicola Fratoianni e Aboubakar Soumahoro, chiesto anche pubblicamente e con insistenza dai due leader dei due partiti che lo hanno candidato alle elezioni, presentandolo come un esponente simbolo della lotta allo sfruttamento dei migranti. Vogliono da lui dei chiarimenti per una vicenda che in maniera molto evidente li mette a disagio, in imbarazzo perché tocca un tema che per entrambi fa parte delle battaglie politiche di questi anni, la lotta allo sfruttamento, per un salario dignitoso e un’accoglienza dignitosa. Ora la suocera di Soumahoro risulta ufficialmente indagata, lui no. Non c’è nessuna indagine a suo carico, ma la vicenda è politica e in qualche modo Bonelli e Fratoianni devono risolverla con un chiarimento. “C’è un problema nella gestione di tutto questa vicenda”, ha detto Fratoianni camminando nel pomeriggio in Transatlantico. Bonelli esclude una sospensione o espulsione dal gruppo, anche perché Soumahoro non appartiene a nessuno dei due partiti, è stato eletto come indipendente e per essere espulso dal gruppo in Parlamento la decisione non può essere presa solo dai due segretari dei partiti. Per una settimana hanno cercato Soumahoro senza riuscire a mettersi in contatto con lui. Oggi il deputato era lì a Montecitorio, entrava e usciva dall’aula, in quel lato del Transatlantico frequentato dai gruppi di sinistra. Sempre al telefono, oppure occupato nella lettura di alcuni fogli in mano, non ha parlato con nessuno. A pochi metri sono passati più volte anche Bonelli e Fratoianni, ma tra loro nessun saluto e nessuna parola, guardati a vista dai giornalisti che attendevano di capire il finale di questa storia. Una storia che imbarazza perché in qualche modo Bonelli e Fratoianni sanno che migliaia di elettori hanno votato Soumahoro per la sua storia, per quello che ha rappresentato. C’è un aspetto di garantismo posto soprattutto da quella parte politica, come Forza Italia, che è sempre stata garantista, ad esempio Enrico Costa, ex Forza Italia, che si lamenta del fatto che per tre giorni Soumahoro è stato messo sul banco degli imputati senza essere indagato, ma per Bonelli e Fratoianni, che hanno ben chiaro questo, la questione è strettamente politica e di credibilità futura dei due partiti e le loro battaglie future a favore dei migranti e della loro accoglienza in Italia.

Il ritorno dei voucher

(di Massimo Alberti)

Entrati dalla porta nel 2003, potenziati dal governo Renzi col Jobs Act, cancellati dal parlamento nel 2017 dopo che l’Inps evidenziò come fossero stati la più colossale operazione di copertura del lavoro nero, e dopo una battaglia della Cgil che stava per portare ad un referendum, anticipato stavolta dalla politica. I Voucher rientrano dalla finestra del governo Meloni, non solo nel lavoro domestico, ma in agricoltura hotel e ristoranti. Ora si chiamano Buoni Lavoro. Durante il governo Renzi, che li allargò ad ogni settore, si raggiunsero punte di decine di milioni di buoni, con un tetto posto a 7000 euro, un limite alle aziende con 5 dipendenti. Quello attuale è addirittura a 10000 e 10 dipendenti. Di fatto furono la nuova frontiera del precariato, Un’inchiesta proprio di Radio Popolare attraverso le voci dei lavoratori raccontò come le aziende ne abusavano: si retribuisce un’ora di lavoro col voucher poi si continua la giornata col nero. Dati confermati dall’Inps, che dopo un lungo studio arrivo alla conclusione che più che favorire l’emersione del nero, i voucher fossero il segnale di attività sommerse anche di dimensioni maggiori di quelle emerse. Oggi se le associazioni di imprenditori plaudono, chi lavora sul campo è furibondo.
Mirco Botteghi ne vede di cotte e di crude nel turismo a Rimini, dove lavora per la Ficalms Cgil. “Eravamo arrivati a 3,5 milioni di voucher, il che allontanava i lavoratori oltre coprire il nero: ti pago un’ora, ne facevi 8” racconta. D’accordo è Celeste Lo Giacco, sindacalista Flai con una lunga esperienza in un territorio difficile come la piana di Gioia Tauro. “I sistemi, precari di cui per altro si abusa, già ci sono: lavoro a chiamata, lavoro settimanale. Non ne serve un altro, chiosa Botteghi. E’ solo un modo per pagar meno”.

Il rapporto sulle 50mila vite perdute nelle migrazioni

(di Guglielmo Vespignani)

“Cinquantamila vite perdute”. Questo è il titolo del rapporto pubblicato oggi dall’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni. Un documento che mostra al mondo i numeri di una tragedia quotidiana che avviene davanti ai nostri occhi, e per cui, sottolinea l’Oim, “i governi dei Paesi di origine, transito e destinazione hanno intrapreso troppe poche azioni”.
Un dato comunque incompleto, perché parla solo delle morti accertate. Oltre sedicimila, sulle circa ventiduemila totali, le probabili vittime aggiuntive nel solo nel Mar Mediterraneo, persone che scompaiono durante il loro viaggio verso l’Europa. L’Europa, appunto, la meta verso una vita migliore più ricercata dalle persone in movimento, che è allo stesso tempo la più letale: più di 25.000 le persone di cui la morte è stata accertata mentre cercavano di oltrepassare i confini esterni o interni del continente. Circa novemila vittime provenivano dai paesi africani. Oltre seimila, invece, le persone asiatiche che hanno perso la vita fuggendo dalla povertà e violenza che segnano i loro Paesi di origine: Siria, Afghanistan e Myanmar sono infatti le nazioni con più vittime registrate in assoluto.”Indipendentemente dalle ragioni che spingono le persone a spostarsi, nessuno merita di morire in cerca di una vita migliore” dice la coautrice del rapporto Julia Black. Questo l’obiettivo del documento, come dichiarano le conclusioni: evidenziare la necessità di dati ancora più approfonditi, per far emergere come i governi debbano assumersi la responsabilità di fermare questa tragedia.

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