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Tratto dal podcast
Memos di mar 10/03
Coronavirus | 2020-03-10

Miguel Benasayag, 66 anni, è un filosofo e psicanalista argentino.Miguel Benasayag, 66 anni, è un filosofo e psicanalista argentino. Negli anni della giunta militare a Buenos Aires è stato arrestato e detenuto per quattro anni, torturato. “Funzionare o esistere?” (Vita e Pensiero, 2019) è il titolo di uno dei suoi ultimi libri tradotti in italiano. Benasayag vive a Parigi dove oggi a Memos Raffaele Liguori lo ha raggiunto per un’intervista sull’emergenza #Covid19.
Che cosa sta succedendo, professor Benasayag?
Io non posso rispondere dicendo cosa sta succedendo. Posso dire, invece, cosa succede per noi.
Un primo livello ci racconta cosa accade con questa epidemia. C’è qualcosa di strano. Prima dicevano che era poco più di un’influenza, ma poi hanno preso tutte queste misure a livello internazionale. A questo livello non tutto è conoscibile, c’è un’incognita. Però, possiamo anche dire che i potenti del mondo si aspettavano questa situazione ormai da vent’anni. Quanto sta accadendo è una conseguenza di ciò che io chiamo “ecocidio”, il disordine e il disastro nella regolazione degli ecosistemi. Ciò che non sappiamo è se questa minaccia sarà quella vera oppure no. Tutto questo è il lato globale del problema.
Ma noi, individui famiglie e gruppi, non riusciamo a pensare e ad agire a questo livello globale. Rischiamo di restare in una passività assoluta. In questa globalità ci sono molte variabili non conoscibili. E’ un allarme che mette in gioco la vera sfida della nostra epoca: come agire e pensare dentro una complessità che non possiamo capire completamente. Dobbiamo imparare, d’ora in poi, a pensare e agire consapevoli che ci sono molte cose non conoscibili.
Miguel Benasayag, lei diceva che i potenti hanno atteso per vent’anni questi momenti. I potenti sono stati partecipi di questa vicenda oppure hanno atteso passivamente?
Mi viene in mente spesso “Delitto e Castigo” di Dostojevsky. Quelli che hanno commesso e commettono questo ecocidio hanno la coscienza sporca. Si aspettano il castigo. Loro sanno che accadrà. Noi non possiamo sapere se questa sarà la volta buona. Ciò che invece si deve sapere è che dobbiamo imparare ad agire in un mondo che d’ora in poi sarà in buona parte così. Ci saranno delle minacce globali di fronte alle quali o noi rimaniamo passivi, dicendo “dobbiamo obbedire, dobbiamo essere disciplinati, restare a casa, non fare niente”, oppure impariamo ad agire. Il mondo sarà d’ora in poi – e per un lunghissimo periodo – con delle minacce e delle variabili non misurabili.
Come si combattono queste minacce? I provvedimenti presi dal governo in Italia inevitabilmente vanno a toccare libertà fondamentali, ad esempio la libertà di circolazione. La disponibilità ad osservare queste nuove norme sembra provenire dalla condivisione del pericolo rappresentato dal contagio. Allora, Miguel Benasayag, queste minacce – e gli interventi per combatterle – finiranno sempre per mettere in discussione la democrazia? Molto dipenderà anche dalla fiducia che i cittadini avranno verso l’autorità che decide i provvedimenti?
In questo momento la sfida è essere adulti. Le potenze del mondo funzionano con una programmazione e modellizzazione digitale. Ma i loro modelli hanno fallito. Hanno fallito economicamente già tre quattro volte. Sono in pieno fallimento perché non hanno previsto cosa sta succedendo e cosa accadrà, e cosa dobbiamo fare. Tutto ciò è una sfida per noi perché noi non possiamo accordare fiducia a questi potenti. Oggi dobbiamo resistere alla tentazione di rompere tutti i legami per obbedire. Noi dobbiamo essere responsabili per questa situazione, anche se ci manca la conoscenza di tutte le variabili.
Il neoliberismo oggi vuole rompere ogni legame che si collega alla democrazia e chiede obbedienza. Il problema è il seguente: non si tratta di non obbedire tanto per farlo. Si tratta di assumere la responsabilità di questa situazione. Ciò che ci propongono è restare tranquilli, aspettare le notizie. Noi, invece, dobbiamo cercare come resistere a questo processo che punta a ridurre il potere di azione delle persone. E l’epidemia in corso lo sta già facendo.
Lei dice: il punto non è obbedire tanto per farlo. Allora, dico io, obbedire oggi potrebbe servire come promemoria per il futuro: obbediamo oggi, ma domani non si dovranno più fare tagli al sistema sanitario pubblico, oppure disinvestire dalla scuola, perché oggi abbiamo la conferma di quanto siano fondamentali.
Il punto centrale è che nella nostra epoca non possiamo continuare ad obbedire ciecamente. Dobbiamo sapere che i potenti del mondo sono assolutamente nel buio totale, economicamente e nella loro organizzazione sanitaria. Questi soggetti sono in fallimento. E di fronte a tale fallimento, dobbiamo cercare nella produzione di legami sociali dei modi di responsabilità condivisa. E’ l’insegnamento di questa prima grande allerta (emergenza coronavirus, ndr). Disgraziatamente non è altro che la prima grande allerta.
O noi obbediamo a degli assoluti irresponsabili che sono finiti nel buio oppure cominciano ad essere coscienti che dobbiamo prendere nelle nostre mani la responsabilità di cosa sta diventando il mondo, l’economia, la sanità.
Quindi lei chiede un’obbedienza partecipata, attiva, cosciente di cosa è accaduto negli ultimi anni?
Io eviterei la parola “obbedienza” e al suo posto userei l’espressione “essere d’accordo con certe misure proposte dalle autorità sanitarie”. Non si tratta di obbedire, ma di dire che siamo d’accordo con quelle misure. Quindi lasciamo fuori l’idea dell’obbedienza. Pensiamo di essere responsabilmente d’accordo con certe misure, non dare una fiducia cieca a questa gente (i potenti, i governi, ndr). E, infine, assumere la seguente realtà: se non ci prendiamo in mano il nostro futuro, nessuno lo farà.
foto | wikipedia