A poco più di una settimana dal massacro a Nochixtlán, nel profondo sud del Messico, nello stato di Oaxaca si respira ancora il terrore per le strade. Lo dice uno dei consiglieri comunali della città che ha precisato che alla repressione si aggiunge ora un’atmosfera di minaccia perenne. Un elicottero di cui è impossibile identificare la provenienza sorvola a bassa quota il centro e la periferia. La gente impaurita appena sente il rumore scappa e si rifugia nelle case. Chi è rimasto ferito nell’attacco della polizia si fa curare nei centri medici privati, per evitare di essere segnalato al governo federale e rischiare di essere denunciato per aver partecipato alla protesta.
Questi sono però senza ombra di dubbio gli effetti collaterali minori della tragedia che si è consumata per le strade di Nochixtlán, dove lo sgombero di una delle arterie stradali è avvenuto con un bagno di sangue. Proviamo a ricostruire quel 19 giugno da cui tutto è cominciato.
La polizia federale è arrivata in forze, con 800 agenti, alle 6 del mattino davanti ai blocchi e all’accampamento costruiti sulla strada federale, dove da settimane avevano iniziato la mobilitazione centinaia di docenti in lotta contro la riforma della scuola già approvata dal governo di Enrique Peña Nieto. La maggior parte dei manifestanti erano iscritti al potente sindacato Coordinamento Nazionale dei Lavoratori dell’Educazione (CNTE), di cui due dei leader erano stati arrestati la settimana precedente con l’accusa di corruzione.
Le strade occupate a rotazione avevano già provocato in tutto lo stato di Oaxaca enormi disagi. Tra cui il rischio del blocco della produzione anche della raffineria della compagnia statale Pemex, che con le strade interrotte non poteva realizzare le consegne alla capitale Città del Messico.
Ecco questo è il quadro estremamente semplificato di quello che poi è diventato il teatro del massacro. Partiamo ora dalla realtà più straziante: cioè lo sgombero. A partire da quel 19 giugno e per i tre giorni successivi di incidenti muoiono 11 persone. Tra questi ci sono alcuni manifestanti e anche abitanti che si sono uniti alla protesta. Si contano anche un centinaio di feriti tra cui alcuni agenti. Un vero teatro di guerra dove le forze cosiddette dell’ordine hanno sparato sui civili. Dove in un primo tempo i vertici della polizia hanno negato di aver concesso l’ uso di armi da fuoco, per poi ammettere davanti alle decine di foto e video che documentavano il contrario di essere ben equipaggiati. Dove all’interno delle file dei maestri sono comparsi degli infiltrati appunto armati, ad aumentare il terrore e il caos. Dove nella battaglia campale i manifestanti feriti che ricorrevano agli ospedali non venivano accettati.
In questo contesto di violenza assoluta c’è un attacco fatto di repressione e massacri contro il movimento degli insegnanti in Messico che è iniziato nel 2006. Anche i sindacati di settore vengono presi di mira perché hanno da sempre assunto un ruolo profondamente attivo come quello che stiamo vedendo in questi ultimi mesi. La riforma della scuola è in realtà una riforma amministrativa e del lavoro che decapita i diritti, appunto il ruolo dei sindacati e la libertà nella professione docente. In un paese in cui almeno 4 messicani su 10 non hanno finito la scuola secondaria e quasi 7 milioni sono analfabeti, per il governo Peña Nieto diventa di primaria importanza valutare con dei test la preparazione dei docenti. L’esame sarebbe standard in tutto il Paese, con risposte a scelta multipla. Chi non passa viene licenziato. Una manovra denunciano gli insegnanti per liberarsi di parte di un movimento che si batte per la difesa della scuola pubblica mentre avanza a grandi passi la privatizzazione dell’istruzione. Anche qui solo alcuni aspetti di una realtà socioeconomica complicata ma che trova la risposta solo nella violenza. Ora su questa ennesima pagina nera messicana è stata aperta un’inchiesta. Non c’è forma migliore dell’annuncio di un’inchiesta governativa per far calare il silenzio su un abuso di potere.
Effetti collaterali. Popolazione civile in pericolo è la rubrica a cura di Cristina Artoni, in onda ogni lunedì su Radio Popolare alle 9.20
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