Il cerchiobottismo, il prendere tempo, il dire tutto senza dire niente. È la postura di Giorgia Meloni sul caso Santanchè.
La presidente del Consiglio ne ha parlato per la prima volta, ammettendo che il suo silenzio ha fatto aumentare le ambiguità. E se però sperava di mettere a posto la questione con qualche frase di rito le è andata male, perché le ombre non hanno fatto che diventare più scure. Parole che non sono risolutive, che devono essere interpretate, che si prestano al gioco del retroscena. La verità è che Daniela Santanchè è un problema per Meloni.
Al di là del rinvio a giudizio già incassato, le accuse che le vengono mosse nelle inchieste ancora in corso ipotizzano una spregiudicatezza e una slealtà nell’uso del denaro pubblico e quindi una spregiudicatezza e una slealtà nei confronti dello Stato. Un po’ troppo, per una che fa il ministro. Meloni dice che c’è una questione di opportunità legata alla difficoltà di fare il ministro e allo stesso tempo di occuparsi della propria difesa in uno o più processi. Ma in realtà intende quello.
Daniela Santanchè però ha deciso di resistere perché teme di poter venire travolta se si dimettesse. E Santanchè non è Sangiuliano. Andare allo scontro con lei significherebbe creare danni all’interno del partito. Vanta il suo legame antico e consolidato con la seconda carica dello Stato, La Russa, il quale è anche un rappresentante storico del Msi e un intoccabile in Fratelli d’Italia.
Giorgia Meloni non è mai stata una garantista. Adesso invece dice che il rinvio a giudizio non giustifica le dimissioni. Ma cosa volete che sia l’incoerenza rispetto ai guai che il caso Santanchè le sta creando.