Se l’anno scorso parlava di un generico terrorismo, quest’anno Giorgia Meloni nel suo comunicato scrive la parola “strage neofascista”, ma articolando tutto il pensiero in un modo che lascia volutamente aperti i dubbi, che altri del suo partito nel corso della giornata, ad esempio Alemanno, si incaricano di colmare, parlando di “false piste e mandanti mai scoperti”.
Giorgia Meloni insinua il dubbio usando un’espressione precisa. “Le sentenze, dice, attribuiscono la strage a esponenti di organizzazioni neofasciste”. Non parla di verità processuale, ma di un’attribuzione di colpa data dalle sentenze. È il suo modo per fare un passettino in avanti, ma strizzando l’occhio a quella che dentro al suo partito è sempre stata la linea sulla strage di Bologna, e cioè negare la pista neofascista, avanzare dubbi, e nel caso meglio il silenzio, parlando solo di un generico terrorismo come con le Fosse Ardeatine. La prima volta Meloni disse che gli antifascisti furono uccisi perché italiani, la seconda che furono sterminati dai nazisti.
Ma quest’anno Meloni va ancora oltre, e nel giorno in cui si ricordano le 85 vittime della strage di Bologna, lei cerca per sé il ruolo della vittima, cedendo anche in quest’occasione all’atteggiamento abituale di questi mesi, il vittimismo, sentirsi al centro degli attacchi di presunti nemici. Se la prende con le parole di Paolo Bolognesi, il presidente dei familiari delle vittime della strage di Bologna, che nel suo discorso questa mattina ha ricordato che “le radici di quell’attentato, come stanno confermando anche le due ultime sentenze di appello nei processi verso Cavallini e Bellini, affondano nella storia del post fascismo”, “per questa parte politica, prosegue Bolognesi, lo stragismo e in particolare l’attentato di Bologna rappresentano una macchia da togliere a tutti i costi dalla loro storia”.
Più avanti Bolognesi puntualizza il suo pensiero, “quelli che hanno fatto la strage, dice, ad esempio Francesca Mambro, viene dal Movimento sociale, come altri”. Eppure per Meloni si tratta di campagna d’odio al punto, sostiene, da temere per la sua incolumità. L’ennesimo modo per non rispondere nel merito delle cose, in questo caso ad una verità giudiziaria, assumendo il ruolo di vittima. Paolo Bolognesi, parente di una delle vittime e rappresentante di tutti i familiari le risponde: “Vorrei dirle che le vittime siamo noi, non lei”.