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Medio Oriente, la crisi appesa alle scommesse di Israele

Medio Oriente Crisi ANSA

In pochi giorni i raid israeliani sul Libano hanno fatto centinaia di morti e decine di migliaia di nuovi profughi. In un Paese già alle prese con una gravissima crisi economica e con una continua instabilità politica la situazione è drammatica.
Nonostante questo la crisi in Medio Oriente potrebbe peggiorare ancora parecchio. Ci potrebbe essere un’operazione di terra israeliana in Libano, e il territorio israeliano potrebbe essere attaccato su più fronti, nel caso in cui l’asse della resistenza a guida iraniana decidesse che è finito il tempo di stare sulla difensiva.

Finora sembra che la strategia israeliana poggi proprio su una valutazione opposta: a un certo punto i bombardamenti di questi giorni sul Libano convinceranno Hezbollah a fare un passo indietro e a fermare il lancio di razzi verso Israele. È una scommessa. E nessuno sa se alla fine gli israeliani la vinceranno. I punti di domanda sono molti. Al momento Hezbollah non sembra avere alcuna intenzione di fare marcia indietro. Lo dimostrerebbe anche il razzo lanciato questa mattina su Tel Aviv, quasi a voler ricordare al nemico la sua capacità di colpire in profondità. Visto lo stallo a Gaza e le tante critiche interne, i vertici israeliani hanno bisogno di una vittoria. Anche da qui l’escalation in Libano.

Ma un’ulteriore escalation, dopo i raid di questa settimana, potrebbe voler dire un’operazione di terra. Il capo di stato maggiore israeliano, il Generale Halevi, ha detto alle truppe di stanza nel nord di prepararsi proprio a una possibile incursione oltre confine. Nelle stesse ore sono state richiamate altre due brigate di riservisti per essere posizionate verso la frontiera libanese.
Un’altra scommessa. E qui la vittoria è ancora più incerta. Molto incerta.

Le truppe israeliane entrarono in Libano durante la guerra civile libanese negli anni ‘80, per rimanerci 18 anni, e poi ancora durante la guerra contro Hezbollah del 2006. In entrambi i casi non ha funzionato. E oggi potrebbe finire allo stesso modo.
L’esercito israeliano non è ancora riuscito a sconfiggere Hamas a Gaza, in un piccolo territorio di sabbia. Il paesaggio roccioso del sud del Libano – dove da anni Hezbollah costruisce tunnel, per i suoi miliziani e per il suo massiccio arsenale fatto di razzi e missili – sarebbe molto più ostico. E poi Gaza è una enclave, mentre il Libano è un territorio aperto, che può ricevere armi e rifornimenti dalla Siria, cosa che avviene da anni.

Potremmo trovarci di fronte a un quadro decisamente peggiore, per tutti gli attori in campo e soprattutto per i civili libanesi.
Tra le altre scommesse dei vertici israeliani anche quella che riguarda il grande sponsor di Hezbollah. L’Iran.
Finora Teheran ha parlato di necessità di de-escalation e di volontà di riaprire il negoziato sul nucleare con l’Occidente.
Una guerra totale tra Israele ed Hezbollah potrebbe anche mettere fuori giorno l’arsenale dell’organizzazione libanese, da tempo un deterrente ad azioni israeliane contro l’Iran.

La valutazione, anche qui, è che gli iraniani non abbiano voglia e intenzione di aprire un conflitto regionale e di colpire direttamente Israele. Teheran starebbe anche partecipando, indirettamente, ai negoziati per fermare il conflitto sul confine israelo-libanese. Ma fino a che punto potrà permettere che il suo principale alleato nella regione venga colpito senza possibilità di risposta? Un’altra domanda aperta.

  • Autore articolo
    Emanuele Valenti
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    La tregua a Gaza è sempre più in bilico

    È sempre più in bilico la tregua a Gaza. Il premier israeliano Netanyahu ha detto che la decisione presa all'unanimità dal governo è che "se Hamas non restituisce gli ostaggi entro sabato a mezzogiorno", senza specificare il numero, "il cessate il fuoco verrà interrotto e l’esercito tornerà a combattere. Netanyahu ha anche detto che "alla luce dell'annuncio di Hamas della sua decisione di sospendere il rilascio degli ostaggi, ha ordinato alle Idf di radunare le forze dentro e intorno alla Striscia di Gaza". Le dichiarazioni di Netanyahu seguono quelle di Trump, che ha minacciato “l’inferno” se Hamas non libererà TUTTI gli ostaggi sabato, anche se secondo gli accordi era previsto il rilascio solo di 3 ostaggi. Il rischio della ripresa della guerra si unisce anche al piano di Donald Trump di svuotare la striscia di Gaza. Oggi ha ricevuto a Washington il Re di Giordania, che – insieme all’Egitto – è uno dei paesi individuati da Trump per accogliere i palestinesi espulsi da Gaza. Sia Amman che Il Cairo hanno rigettato la proposta, e Trump ha minacciato di tagliare i fondi a questi due paesi, in violazione anche degli accordi di Camp David del 1979. Sentiamo Eric Salerno, giornalista e scrittore esperto di Medio Oriente:

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