Strade interrotte, alberi e pali elettrici divelti, aeroporto chiuso fino a data da destinarsi, barche disseminate su tutta la costa ma soprattutto lamiere. Lamiere e pezzi di legno a perdita d’occhio. Sulle colline dove fino all’altro giorno sorgeva la più grande bidonville di Francia ora c’è una distesa di detriti accartocciati alla rinfusa tra il fango. Come se un’esplosione gigante avesse fatto coriandoli delle baracche. Mayotte è in ginocchio, è stata un’apocalisse, dicono le prime testimonianze che arrivano con il contagocce da quest’isola dell’Oceano Indiano tra il Mozambico e il Madagascar.
Al momento la rete telefonica è praticamente fuori uso, l’85% dell’isola è senza elettricità, la distribuzione del carburante è rallentata ed è difficilissimo avere notizie dei propri cari. Si pensa che nelle bidonville intorno al capoluogo del dipartimento d’oltremare, uno dei più poveri del paese dove un terzo dei 320.000 abitanti vive in ripari di fortuna, si assiepassero quasi 20.000 persone. Impossibile avere le stime esatte perché molti abitanti erano immigrati irregolari, arrivati via mare dalle vicine Comore e dall’Africa continentale.
100.000 persone in tutta l’isola, stimano le autorità. “Ci vorranno giorni e giorni per poter stabilire un bilancio”, hanno detto il prefetto e il ministro dell’interno francese parlando di centinaia, se non migliaia di possibili vittime. Molto probabilmente non ce ne sarà mai uno definitivo. I rifugi predisposti dalle istituzioni di Mayotte, che avevano allertato la popolazione dell’arrivo del ciclone Chido, sono rimasti vuoti. Immigrati e sans papiers temevano che fosse una trappola delle forze dell’ordine, un modo per poterli arrestare e deportare in massa fuori dal paese. Negli ultimi anni il governo ha moltiplicato le operazioni di rastrellamento e deportazione nelle bidonville, aumentando la sfiducia della popolazione precaria nelle autorità. Quando il ciclone ha toccato terra sabato, con venti oltre 200 km orari, mai così forti da almeno 90 anni, è stato il panico. Ma ormai era troppo tardi.
Sulle immagini filmate dagli elicotteri nel nord dell’isola principale di Mayotte, Grand-Terre, la zona più duramente colpita, si vede qualche edificio rimasto in piedi in mezzo alla devastazione. Alcuni sono stati trasformati in centri d’accoglienza in cui si sono rifugiate più di 5000 persone. Spesso senza acqua, senza cibo e senza nemmeno dei materassi per dormire. L’unico ospedale dell’isola è parzialmente distrutto e i centri per la salute sul territorio sono inagibili. Il porto turistico del capoluogo è scomparso e uno dei traghetti che collegano Grade-Terre alla sorella minore, Petite-Terre, è stato sollevato dal vento fino al pontile. Le forze dell’ordine presidiano i supermercati per evitare i saccheggi mentre sono stati attivati un ponte aereo e uno marittimo per portare rinforzi, cibo e acqua potabile.
In Francia metropolitana c’è aria di mobilitazione generale per prestare soccorso alla popolazione. Intanto, a Mayotte, tra il mare di detriti, risuonano già dei colpi di martello. Chi ha perso la casa cerca di ricostruirla con quello che trova.