Lo scrittore e sceneggiatore Maurizio Braucci, intervistato da Ira Rubini, commenta ai microfoni di Radio Popolare questo “tempo sospeso” che stiamo vivendo durante l’epidemia di coronavirus COVID-19 in Italia e nel resto del Mondo.
Mi sono dato l’obiettivo, nel mio piccolo, di cercare di incoraggiare le persone come so fare, raccontando storie e cercando di capire cosa si nasconde nelle psicologie, nelle dinamiche e nelle trame. In tanti dicono che quello che stiamo vivendo sembra un brutto film di fantascienza e spesso, nella letteratura come nel cinema, è proprio l’arte che anticipa i tempi.
Io credo che una persona che racconta storie, vedendo queste cose può cercare, nel suo piccolo, di ragionare insieme agli altri non soltanto sulle cose assolute e inevitabili come l’isolamento, la cautela, la protezione di se stessi e degli altri, ma anche sulle cause e sulle dinamiche che stiamo vivendo. E io provo a farlo coi social network.
Tra le cose che scrivi mi colpisce molto il tuo soffermarti sui dettagli. Quali sono i dettagli che ti colpiscono di più di questa situazione?
Io sto stimando molto i divulgatori scientifici, persone che hanno una conoscenza scientifica e sono anche in grado di comunicare. Molti scienziati, per quanto geniali, non sempre sanno comunicare. Mi colpisce molto questo aspetto, il cercare di interpretare le cose e ragionare con le persone anche contro l’angoscia. C’è bisogno di salute, ma vogliamo anche capire quanto durerà questa cosa, come andrà l’economia, cosa stanno facendo i poveri. Da questo punto di vista avere un’idea di quello che sta accadendo ci aiuta. A questo segue anche l’attenzione più ideologica, pensare che c’è un governo che ha preso dei provvedimenti diversi da quelli cinesi e diversi da quelli coreani. E trovo molto interessanti i momenti di comunicazione della Protezione Civile e l’Istituto Superiore di Sanità, sono persone che hanno una grande responsabilità sulle spalle.
Io vivendo in un quartiere popolare di Napoli vedo nelle persone più semplici e legate alla tradizioni una sorta di istinto, in una circostanza come questa, che non è altro che il reiterare delle cose che la memoria collettiva si porta dentro e che rivela di aver affrontato tante e tante volte cose come queste. Noi, ultime generazioni, forse stiamo ricordando che cosa siamo e non solo che la natura non va distrutta, ma anche che da millenni siamo impegnati in questa lotta alla sopravvivenza. E questo è un ritorno a questa memoria.
Tu sei un punto di riferimento per tanti ragazzi e hai dato vita, insieme ad altre persone, anche a progetti come Arrevuoto. Stai mantenendo i contatti con quei giovani?
In questo momento no, siamo più in contatto noi operatori. I ragazzi vivono di più la dimensione della scuola a distanza in questo momento.
Ora il teatro, l’amarcord per eccellenza, è sospeso e chissà come ritornerà e come cambierà. Se fanno sempre i paragoni con la guerra, ma la guerra è un’altra cosa. Nella guerra si sta uno contro l’altro, adesso invece dobbiamo stare uniti e anche il teatro, quando riprenderà, ci darà questa possibilità di restare.
Maurizio Braucci, ci dai un suggerimento di resistenza culturale?
Vi suggerisco un libro, “La grande cecità: Il cambiamento climatico e l’impensabile” di Amitav Ghosh, un saggio bellissimo che si chiude con l’enciclica papale di qualche anno fa.