Dopo due anni a Palazzo Chigi, il Paese non è ancora sul binario giusto della ripresa economica e la leadership politica di Matteo Renzi mostra qualche segno d’affanno.
Conquistato il potere con un’operazione smaccatamente di Palazzo ai danni di Enrico Letta, il quale guidava uno dei più paludati governi della storia dell’Italia repubblicana, Matteo Renzi si era proposto di passare dal ruolo di Grande Rottamatore (con cui aveva fatto la sua fortuna politica) a quello di Grande Riformatore.
Da allora ad oggi, nei 24 mesi che sono trascorsi, la sua azione è stata intensa, ma non sufficientemente forte da produrre delle riforme che incidessero realmente sulla vita dei cittadini.
Un’economia in difficoltà.
In particolare, in economia, i risultati rimangono deludenti. L’azione del governo in questo caso è stata un mix tra l’attesa di una ripresa che poi non è mai compiutamente arrivata (e che anzi, oggi vede sempre più nubi al suo orizzonte) e la rivendicazione del merito di qualche decimale in più rispetto al passato; decimale che comunque non toglie l’Italia dagli ultimi posti della classifica europea della crescita dal Pil.
Gli 80 euro non sono stati un fattore decisivo per fare ripartire la macchina dei consumi. Né lo sarà l’abolizione della tassa sulla casa. E la promessa fatta di una riforma fiscale che porti a contributi più leggeri per gli imprenditori che assumono, meno Irap per le aziende e sgravi sugli investimenti, potrà essere mantenuta solo se risulterà compatibile con il bilancio delle casse dello Stato.
La promessa verrà mantenuta se l’Europa concederà una flessibilità di spesa che allo stato appare difficile da ottenere.
Il Jobs Act
Sul fronte del lavoro, la Grande Riforma è stata il Jobs Act. Contestato perché garantisce meno diritti che in passato, all’apparenza il provvedimento sembra aver dato qualche frutto. I numeri delle indagini statistiche ci dicono che il tasso di disoccupazione è lievemente diminuito. E’ stato invertito il trend? Per dare un giudizio definitivo bisognerà ancora attendere e vedere se le nuove assunzioni verranno confermate anche in futuro.
Altra riforma importante è stata la Buona Scuola. Dopo anni e anni sono stati stabilizzati migliaia di precari, ma la scuola pubblica langue ancora in una situazione difficile per la manzanza di adeguate risorse, che anche questo governo non ha stanziato.
Il nuovo Senato e la nuova Legge Elettorale
La riforma su cui Matteo Renzi gioca il suo futuro politico è quella costituzionale. Voluto a tutti i costi, il combinato disposto della riforma del Senato e della nuova legge elettorale, a detta degli oppositori, crea un mostro istituzionale che concede il vero potere all’esecutivo. Chi è contrario invoca una centralità del Parlamento che già in questa legislatura è stata messa a dura prova, visto il numero record di voti di fiducia cui il governo ha fatto ricorso per far passare senza modifiche la maggior parte dei provvedimenti.
Sarà il referendum convocato in autunno a decidere se gli italiani sono d’accordo con questo nuovo impianto istituzionale. Per Matteo Renzi, i primi sondaggi che indicano una prevalenza del No dovrebbero essere un campanello d’allarme.
Le altre riforme
Luci e ombre sulla giustizia, tra annunci e riforme che non sono stati graditi ai magistrati; un saldo negativo sulla Spending Review (che non ha proprio funzionato se non per tagliare servizi) e sul Sud, lasciato in fondo alle priorità del governo fino a quando non è scoppiata la polemica sui giornali grazie all’uscita di Roberto Saviano, per poi tornarci quando si sono spenti i riflettori.
C’è poi stata una riforma della Rai che avrebbe dovuto togliere l’azienda di Viale Mazzini dalle mani dei partiti, ma solo per metterla in quelle del governo e che poi ha avuto l’effetto finale di una paradossale spartizione da Prima Repubblica quando sono state fatte le nomine del nuovo CdA, dentro il quale sono entrati proprio i rappresentanti dei partiti che avrebbero dovuto rimanere fuori da quelle stanze.
L’Europa, il Mediterraneo, l’immigrazione – sulla quale c’è stato un oggettivo impegno – sono altri fronti su cui il governo Renzi si è mosso tra luci e ombre. Con Bruxelles, in una prima fase, il presidente del consiglio aveva alzato la voce contro l’austerità, per abbassarla subito dopo, allineandosi con docilità ad Angela Merkel sulla vicenda greca.
Ora torna a usare un tono più forte con Berlino e Bruxelles, per avere il via libera sulla flessibilità e la garanzia che il sistema bancario italiano non sarà sanzionato, ma l’operazione sembra essere subito in perdita: Matteo Renzi è isolato e, anche in Italia, i centri di potere che guardano Oltralpe iniziano a esprimere con forza il loro malumore rispetto alla politica ‘strumentale’ di Renzi nei confronti dell’Ue.
Uno stellone appannato
Dopo due anni di governo, lo stellone di Matteo Renzi brilla molto meno di prima. La politica degli annunci ha stancato da tempo e l’attesa dei veri risultati inizia a essere troppo lunga.
E’ vero che il presidente del consiglio può beneficiare di un quadro politico che sembra metterlo al riparo da sgradite sorprese. Lui è fermo al centro, e i suoi oppositori, a parte forse il Movimento Cinque Stelle, non sembrano avere alcuna chance di smuoverlo dalla sua posizione e batterlo. Ma le insidie di una montante disillusione non dovrebbero essere sottovalutate da parte di Renzi.
Come dovrebbero essere tenute in considerazione le critiche rispetto alla sua gestione del potere. Matteo Renzi si è circondato di una serie di collaboratori molto fedeli ma non all’altezza della sfida, e ora, quando sono molti i dossier aperti – dall’Europa alle Unioni Civili, dalle amministrative al possibile intervento in Libia – si avvertono tutti i limiti di un leader politico che troppo spesso si muove solo sulla base della ricerca del consenso, in quella che appare una lunga campagna elettorale.
La questione è che la stagione dell’uomo solo al comando è ormai finita. Quello che serve è un progetto per questo paese che sia il più largamente condiviso. Essere un vero leader significa indicare una direzione di marcia e permettere al paese di oltrepassare quelle nuove frontiere.
Matteo Renzi sembra amare troppo il suo potere per avere la capacità lungimirante di guardare oltre il momento in cui lui avrà lasciato lo scettro. In questi due anni di governo, questo è stato il suo limite peggiore.
Un limite che è anche del Paese.