“Qui si ritrova la Repubblica”. Per il 2 giugno il Presidente Mattarella ha scelto Codogno, la cittadina della bassa lodigiana simbolo dell’epidemia COVID, per un atto politico che ha schiacciato tutte le spinte alla divisione e alla cagnara di un centrodestra che voleva intestarsi la celebrazione con tutt’altro spirito. Una visita “privata” quella del Presidente, come recitava il protocollo del Quirinale, che più pubblica non poteva essere, con tanto di saluto alla popolazione, a distanza, il primo dopo 100 giorni.
Nella Piazza centrale della cittadina capoluogo della bassa lodigiana, su cui si affaccia una chiesa di mattoni rossi, tutti i balconi sono addobbati con un tricolore, un bandiera di una ventina di metri copre un intero angolo di un palazzo proprio dove il presidente arriva con il corteo istituzionale. Ad attenderlo una folla di cittadini, non sempre distanziati, che applaude e filma con i telefonini.
Nel Municipio, che ospita un secolare melo cotogno simbolo della città, Mattarella incontra i sindaci dei 10 Comuni della prima zona rossa, con alcuni consiglieri comunali, il presidente della Regione Attilio Fontana, il prefetto. Si inizia con i saluti del sindaco Francesco Passerini, molto grato al Presidente, e poi tocca a Fontana che risponderà all’appello del Presidente nel discorso anticipato in tv alla nazione: “Differenti ma uniti”, dice il presidente della Lombardia, per ripartire più forti di prima.
Ma è il discorso di Mattarella quello che ribadirà le priorità o se vogliamo l’alfabeto del momento repubblicano: lo Stato è a Codogno per ringraziare i cittadini dei loro sacrifici, per onorare le loro sofferenze e dare speranza e unità per la ricostruzione. La chiama così, il presidente come dopo una guerra. Perché questo è successo, almeno scorrendo il numero dei morti che Mattarella vorrebbe ricordare “uno per uno; nome per nome; volto per volto”.
Le istituzioni parlano con la mascherina d’ordinanza, come tutte le persone fuori in Piazza che si passano parola su quanto sta dicendo il Presidente e si raccolgono alle delimitazioni con un nastro tricolore quando con il primo fuori programma Mattarella si affaccia alla piazza per un rapido saluto. Applausi. È un momento intenso di riscatto. Quasi commovuente, che si ripeterà poco dopo, in maniera ancora più forte, al cimitero.
Sotto la struttura neoclassica su cui campeggia la scritta “resurrecturis”, il Presidente, dopo un saluto alle autorità religiose, va da solo a deporre una corona di fiori bianchi per tutte le vittime del COVID. E poi esce e affronta una passeggiata di qualche decina di metri per salutare ancora la gente del paese che lo aspetta. E qui. In questo confronto tra solitudine e comunanza, tra l’uomo che rappresenta lo Stato e la sua Costituzione, anche nella sua sola determinazione a ricordarne i diritti e i doveri, e la folla, i cittadini, il popolo, che si realizza un momento di rottura, di catarsi, di liberazione, a rischio di qualche prossimità non proprio a prova di distanziamento. L’uomo che è venuto da solo a ringraziare e ricordare è in questo momento tutto lo Stato, i cittadini, la Repubblica stessa.
Quando la folla ordinatamente scema e la cittadina torna subito al suo tran tran di ripresa e cautela, è quasi ora di pranzo, si smontano le tende bianche dei banchi del mercato settimanale, i bar si svuotano. Rimangono in piazza una cinquantina di volontari della Protezione Civile in pettorina gialla, tra i protagonisti e i simboli di questo periodo e di questa comunità, salutati più volta anche dal Presidente e anche oggi in piazza per aiutare. Il capo dei vigili li sta ringraziando, con un bilancio del loro lavoro, poi con i nuovi compiti per la settimana. E alla fine scatta un lungo applauso liberatorio, a se stessi, perché anche se non è andato tutto bene in questo periodo, nelle difficoltà si sono scoperti e aiutati; si sono fatti forza, insieme. Tutto quello che continuerà a servire anche domani.
Foto | Quirinale