Nel settembre 2001, sugli schermi del canale via cavo HBO, appare una miniserie destinata a illuminare le potenzialità del mezzo televisivo, un titolo tra i tasselli fondamentali della nascente prestige tv: s’intitola Band of Brothers e a crearla e produrla sono Steven Spielberg e Tom Hanks, che a tre anni dal successo di Salvate il soldato Ryan tornano a esplorare i territori della Seconda guerra mondiale. Ispirata al libro Banda di fratelli del 1992, scritto dallo storico Stephen Ambrose, Band of Brothers ha un cast sterminato, racconta una vicenda vasta e corale e, anche attraverso numerose consulenze di esperti e studiosi, riproduce il periodo storico con straordinaria accuratezza di dettagli. Acclamatissima, vince sette Emmy; la segue quasi un decennio dopo, nel 2010, The Pacific, sempre con Spielberg e Hanks produttori e con la stessa prospettiva ampia e collettiva, ma con l’azione spostata sull’altro versante del fronte bellico, quello dell’oceano Pacifico. Ora, oltre un altro decennio dopo, è il momento di una terza miniserie: Masters of the Air, che ha debuttato su Apple Tv+ lo scorso 26 gennaio, e proseguirà con un nuovo episodio ogni venerdì. Ancora una volta, Steven Spielberg e Tom Hanks sono in produzione; alla base del nuovo progetto c’è il libro Masters of the Air: America’s Bomber Boys Who Fought the Air War Against Nazi Germany, scritto dal celebre storico americano Donald L. Miller, già tra le fonti di The Pacific. Masters of the Air ritorna sul fronte europeo, e direttamente dove tutto è cominciato, in Germania: «Siamo arrivati da molto lontano per portare la guerra a casa di Hitler» dice uno dei personaggi. Ma sarebbe più preciso dire «sulla testa di Hitler», perché al centro di Masters of the Air ci sono le battaglie del cosiddetto “Bloody Hundredth”, il 100° gruppo bombardieri dell’aviazione statunitense, che nel corso del secondo conflitto mondiale condusse numerosi e pericolosi raid aerei in territorio nemico, proprio sulla Germania nazista. Chi ha visto Band of Brothers o The Pacific lo sa: la narrazione è diretta e realistica, e restituisce la verità della guerra, in cui cadere in battaglia o essere catturati è la norma, e riuscire a uscirne vivi non è per nulla scontato. In più, in Masters of the Air, grazie alle tasche quasi senza fondo di Apple (pare che il budget si aggiri sui 200 milioni di dollari), ci sono le ricostruzioni dei combattimenti aerei, un tipo di scontro bellico – ha rimarcato lo storico Miller – che all’epoca era ancora “nuovo”: sostanzialmente, i giovanissimi piloti e navigatori si “inventavano” via via un modo di utilizzare questo inesplorato “campo di battaglia”, con strumenti ancora rudimentali, dentro velivoli in più di un senso fragilissimi. Autori, attori e registi cercano proprio di restituirci il più possibile il punto di vista dei soldati, e come nelle due miniserie precedenti il punto di forza di Masters of the Air sta nel numeroso cast, che da un lato è attento a scegliere volti molto giovani, poco più che ragazzini, dall’altro raccoglie alcuni tra i nomi più interessanti di cinema e tv contemporanei, e, chissà, anche qualcuno destinato a diventare celebre in futuro (in Band of Brothers, per esempio, c’erano gli allora poco noti Michael Fassbender e Damian Lewis). In Masters of the Air ci sono Callum Turner, già tra i protagonisti della saga Animali fantastici; Nate Mann, apparso in Licorice Pizza di Paul Thomas Anderson; il modello e musicista Rafferty Law, figlio di Jude Law; la star britannica Ncuti Gatwa, che dopo l’exploit con Sex Education si prepara ora a indossare il ruolo del nuovo Doctor Who. Ma, soprattutto, ci sono due candidati agli Oscar: l’ottimo Barry Keoghan, che dopo il successo di Gli spiriti dell’isola è appena stato protagonista del chiacchieratissimo secondo film di Emerald Fennell, Saltburn, e aveva già “esplorato” la Seconda guerra mondiale in Dunkirk di Christopher Nolan (un altro film che, in una delle sue tre storyline, si occupava di rendere su schermo l’esperienza delle battaglie aeree); e Austin Butler, ex teen star che ha conquistato tutti con l’intensissima prova in Elvis di Baz Luhrmann, dove si è trasformato nel Re del rock’n’roll (al punto che per anni ha continuato a parlare con il suo accento). La serie cerca un difficile equilibrio tra la celebrazione di gesta eroiche e il racconto dell’enorme prezzo emotivo e psicologico pagato dai giovani combattenti: in ogni caso, in questi tempi di memorie labili, un ripasso di storia, e un reminder dell’insensatezza della guerra, è sempre gradito.
Masters of the Air, la nuova serie TV firmata da Spielberg e Tom Hanks
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Autore articolo
Alice Cucchetti