Massimo Galli va in pensione. Ecco l’intervista di Lorenza Ghidini e Roberto Maggioni – in onda nella puntata di Prisma di mercoledì 3 novembre – che ripercorre i suoi quarant’anni di lavoro: dalle prime ricerche sull’Hiv all’infodemia dell’era Covid.
Da un paio di giorni a questa parte è in pensione?
Si, oggi è ufficialmente il mio secondo giorno da pensionato.
Il secondo giorno di una nuova vita. Quali sono i pensieri in queste prime ore?
Non so quanto nuova. Sto facendo quasi tutto quello che facevo prima, pur avendo scaricato un grosso numero di incombenze di cui, forse, non avrò nostalgia.
Noi facciamo uno strano mestiere. Chi fa il medico non smette mai di farlo.
Di cosa non avrà nostalgia?
Di molta burocrazia, di molte riunioni noiose e spesso inutili, di alcune responsabilità gravose che mi tenevano sempre all’erta, di trovarmi costantemente a rischio facendo le cose che dovevo fare e di trovarmi in situazioni difficili in questo strano mondo pieno di contraddizioni. Mi riferisco a tutti i miei mestieri. Ho fatto il medico, ma anche il professore universitario, il primario e il ricercatore, con tutte le responsabilità legate alla gestione di un laboratorio che maneggiando dei virus poteva avere moltissimi problemi di ordine organizzativo e normativo.
Negli ultimi due anni il suo nome è diventato molto conosciuto. Lei però ha dedicato una grossa parte della sua vita alla ricerca contro l’Aids.
Assolutamente si. Ho speso la mia vita combattendo le pandemie del giorno, mettiamola così. Il mio ospedale, il mio centro e il mio gruppo di lavoro sono stati tra i primi in Italia ad avere a che fare con l’epidemia di Hiv. Siamo stati tra i primi a sostenere l’esistenza di un’epidemia tra i tossicodipendenti, cosa che all’inizio sembrava una teoria fantasiosa.
Che similitudini e differenze ci sono state sotto l’aspetto mediatico tra l’epidemia di Covid-19 e quella di Hiv?
L’atteggiamento mediatico rispetto all’epidemia da Hiv era diverso. C’era il costante tentativo di confinare il problema a delle minoranze, delle categorie e dei comportamenti. Successivamente tutto questo è cambiato. Il fatto più clamoroso è che, da un certo punto in poi, ci si è resi conto che la questione presentava degli elementi di interesse generale. Tuttavia c’è sempre stato il tentativo di far figurare il problema come marginale alla società. Al contrario l’epidemia da Covid ha fin da subito evidenziato la sua capacità di influenzare la vita di ogni cittadino, tanto da implicare provvedimenti come il lockdown e da richiedere una continua informazione e un continuo dibattito. Si è parlato di infodemia e oggettivamente tutti i media hanno avuto la necessità di riempire i propi palinsesti di questa malattia. Spesso tutto questo era più che motivato, ma c’è stato anche molto contorno e molto sgomitare per essere protagonisti.
Noi giornalisti, durante questa pandemia, abbiamo cercato voi esperti in modo quasi ossessivo e voi non vi siete mai tirati indietro. Abbiamo tutti esagerato? C’è stata una sovraesposizione mediatica oppure è stato utile?
Qualcuno che si occupa di informazione mi ha detto: “Ove è dimostrata la richiesta è difficile che si possa parlare di eccesso”. Se poi la si vuole vedere in chiave pedagogica e di educazione nei confronti di determinate problematiche, di eccessi di ce ne sono stati molti. Direi che è inutile fare meditazioni a posteriori. A fronte di determinate richieste di informazione e coinvolgimento da parte delle persone, è difficile pensare a un ridimensionamento. Siamo davanti a un problema nuovo. Ricordo che una volta Lilli Gruber si lasciò scappare un “cosiddetti esperti” e aveva ragione. Io ci ho ironizzato sopra, perché pur studiando determinati problemi da più di quarant’anni è la prima volta che mi trovo davanti a una pandemia di Covid. Spesso dobbiamo costruire delle ipotesi sulla base del dato scientifico disponibile e magari indignarci quando vediamo qualcun’altro che le ipotesi le costruisce sul dato di comodo, solo per assicurarsi la benevolenza di un determinato elettorato.
Questo è stato un grande problema. Non si sapeva di chi fidarsi. Si sentiva un po’ tutto e il contrario di tutto. Questo potrebbe aver contribuito a creare quello zoccolo duro di persone che non accettano la vaccinazione e o il green pass?
Può darsi, ma si deve anche tenere conto dell’interesse di grosse lobby che hanno cercato di manipolare il dato a favore delle proprie necessità.
Ad esempio?
Vi ricordo quel che è capitato nell’estate del 2020. Si blaterava di malattia clinicamente scomparsa e di virus rabbonito. Abbiamo riaperto in un momento in cui continuavano a esserci moltissimi morti e malati. Gli interessi erano legittimi, ma sappiamo a cosa hanno portato le riaperture. Abbiamo assistito a quella terribile impennata della seconda ondata che ci ha portato più di 90 000 morti, contro i 35 000 circa della prima. Permettetemi di dire che chi ha preso determinate posizioni non supportate da nessuna prova scientifica si è assunto delle responsabilità molto gravi.
Nel gennaio del 2021 sono arrivati i vaccini. In questi giorni si comincia a parlare di terza dose. Gli over 60, i fragili e gli operatori sanitari possono già prenotarsi. Quando ce ne sarà la possibilità dovremo farla tutti subito o aspettare?
Devo essere franco?
Certo…
Anche in questo caso stiamo navigando a vista. La presa di posizione sicuramente sarà: “Facciamola tutti”. Stiamo cercando di capire quali sono i tempi, i modi e il perché della perdita di capacità protettiva del vaccino.
Non lo sappiamo ancora?
Abbiamo qualche limite di conoscenza che merita di essere pesato.
Ce ne sarà il tempo? Che ne pensa di questa risalita dei contagi?
La storia degli inglesi può insegnarci molto. Inizialmente hanno vaccinato molto più di noi, hanno aperto molto prima e, di conseguenza, hanno visto crescere il numero dei nuovi infettati. Probabilmente perché avendo vaccinato prima stanno assistendo al ridursi della competenza degli anticorpi suscitati dal vaccino nel fermare nuove infezioni nei vaccinati. Sottolineerei che sul versante delle malattie gravi sta andando molto meglio. Stiamo cercando di capire perché la protezione dalla malattia grave dura più a lungo rispetto alla protezione dall’infezione. Tuttavia sul versante della malattia grave siamo messi molto meglio e per questo motivo non avremo un’ondata paragonabile a quella dell’anno scorso.
È rimasto colpito dal numero di persone che da 15 sabati manifestano contro il green pass? Cosa ne pensa? Cosa gli direbbe se potesse?
Temo che a coloro che vanno a questo genere di manifestazioni ci sia pochissimo da dire. È una scelta che si basa su posizioni ideologiche discutibili, ma bisogna rispettare le persone pur non riuscendo a rispettare l’ideologia. Tuttavia bisogna riconoscere che è un atteggiamento antiscientifico basato su leggende metropolitane che, purtroppo, trovano una grande cassa di risonanza in politica.Uno degli aspetti che trovo più sgradevoli di questa faccenda è il non occuparsi minimamente dei problemi della società tutta e rivendicare una posizione individuale e individualista che viene da una paura ingiustificata e irrazionale.
Che lezione lascia la pandemia alla sanità pubblica? Chi governa l’ha imparata?
Sul secondo aspetto francamente sono molto preoccupato. Mi auguro che il sistema sanitario non abbia la memoria del pesce rosso. Per quanto riguarda la sanità pubblica mi viene in mente la battuta di Gino Bartali quando parlava del ciclismo: “Tutto sbagliato, tutto da rifare”. C’è molto da reimpostare e soprattutto molta attenzione dev’essere posta all’organizzazione sanitaria a livello territoriale e al ripristino della prevenzione. Specialmente in alcune aree del Paese dove molto si è puntato sull’eccellenza degli ospedali e sul ruolo del privato.
Professor Galli, a un certo punto per insultarla le hanno dato del sessantottino…
È una qualifica che non respingo. Quando ho cominciato a essere chiamato in televisione e in radio ho fatto la mia dichiarazione. Ho pensato fosse meglio chiarire subito la mia storia e la mia area ideologica piuttosto di farmela rinfacciare a posteriori. Non ho niente da nascondere o da rinnegare per quanto riguarda il mio passato. Forse soltanto qualche eccessiva speranza ed entusiasmo giovanile che, come spesso purtoppo accade, è stata ridimensionato dal rapporto con la realtà.