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- Tratto dal podcast Cultura |
Il drammaturgo e regista teatrale Marco Baliani è protagonista al Teatro Menotti di Milano di un focus a lui dedicato. Una personale iniziata il 28 gennaio con lo spettacolo Corpo di Stato, proseguita il giorno successivo con Tracce e poi con Del coraggio silenzioso, Kohlhaas, Frollo e Trincea.
Il Focus Baliani si chiuderà con Una notte sbagliata in scena il 6, 7, 8 e 9 febbraio. Ne abbiamo parlato proprio col protagonista Marco Baliani, intervistato da Ira Rubini a Cult.
In questi anni mi sono molto dedicato a ricercare cos’è l’oralità, come si fa a raccontare e quanti sviluppi può avere per non cadere nel cliché di una ripetizione sempre identica. Tutto quello che ho imparato mi piace anche trasmetterlo. Durante l’evento di ieri ho preso lo spettacolo Kohlhaas, forse il più famoso e quello che ha dato il via al teatro di narrazione, e l’ho smontato per tentare di far vedere cosa c’era dietro e come ho lavorato sui vari pezzi.
C’è sempre una vena pedagogica nel mio modo di fare, anche quando lavoro con tanti attori mi piace non soltanto realizzare uno spettacolo, ma trasmettere un pensiero e un modo di vivere insieme e capire chi siamo prima come persone che come attori.
Nel tuo lavoro ti sei soffermato anche su situazioni e misteri che riguardano tutto il Paese.
Sì, e che soprattutto riguardano me. È importante trovare sempre le motivazioni personali per poter assumermi la responsabilità di raccontare queste sensazioni ad un pubblico più vasto. Questo è il lavoro. Non posso fare qualsiasi cosa, non sono un attore che può permettersi di fare qualsiasi testo. Devo sempre trovare qualcosa che mi motiva profondamente.
Kohlhaas e Corpo Di Stato, già presentati qui al Menotti, sono due esempi in cui il lodo gira intorno a quell’abisso della nostra storia sociale che è il problema della giustizia e dell’ingiustizia, un conflitto mai risolto in nessuna società. Il mio imprinting è meglio anni ’70, vengo da quel momento in cui si pensava che si dovesse creare un mondo nuovo con un tipo di giustizia ed uguaglianza per tutti. Non è successo e da quel groviglio di passioni continuo a maturare idee per i miei lavori.
Anche questi ultimi due, Trincea e Una notte sbagliata lavorano intorno al tema della dignità umana ferita, dell’oppressione della massa o del singolo, del gruppo che tribalmente massacra qualcuno. Sono sempre molto portato a tentare di indagare questo mistero. Quand’è che la sacralità della vita ha perso via via forza? E credo che questo cominci con la Prima Guerra Mondiale, per questo ho fatto Trincea, e poi ce lo siamo portato fino ad oggi.
Incendiare un barbone per strada per divertimento è qualcosa che esula da tutta la concezione anche biologica dell’essere umano. Ne abbiamo viste di peggio, dall’Olocausto alle guerre etniche. È un mistero come l’essere umano possa arrivare a tanto.
Una cosa che si percepisce fortemente è la tua idea che l’uomo perde l’umanità quando perde l’individualità.
Sì. È importante non insistere troppo sul problema dell’identità, che è una parola molto pericolosa. Preferisco lavorare sulla singolarità della persona. Ognuno di noi è unico e irripetibile. E quindi ogni persona va rispettata nella sua unicità. Per questo mi preme fare questi spettacoli che ruotano intorno a questa difficoltà di comprensione. È una mia difficoltà di comprensione, sono molto inquieto quando vedo quello che accade nel Mondo che mi circonda e cerco di trasformare questa inquietudine in un patrimonio pubblico. È anche giusto che il pubblico si inquieti un po’.
Volevo tornare ad un concetto che tu hai ripetuto spesso e che è alla base del tuo teatro. La definizione di Bloch “pensare affabulando”. Che cosa vuol dire?
Leggendo questo bellissimo libro di Bloch, “Spuren”, si capisce che tutti noi potremmo tranquillamente essere dei filosofi se applicassimo la filosofia al vivere, non al pensare. E il vivere è fatto di centinaia di micro-racconti che sono intorno a noi, anche banali. Lui prende anche dei racconti da almanacco popolare e su questi racconti fa delle riflessioni. Non sono riflessioni complicate o impossibili, sono riflessioni che possiamo fare tutti. E sono meravigliose perché ogni riflessione genera altri racconti e altre analogie. La mia idea, di Tracce e il lavoro che faccio con gli attori e che porto avanti, è che il Mondo intorno a noi è molto ricco di storie. E noi dobbiamo essere superficiali, ma riuscire ad andare in profondità. Si tratta di avere il tempo e la pazienza di stare lì con gli occhi e le orecchie aperte presi dallo stupore che queste storie generano.
Foto dalla pagina Facebook di Marco Baliani