Sono ormai mesi che i francesi scendono in piazza per protestare contro la riforma del lavoro. Ogni manifestazione, blindatissima da cordoni di poliziotti esausti e tesi, registra scontri e tafferugli. Tra le nubi di lacrimogeni e petardi, dei ragazzi corrono qui e là a soccorrere i feriti. Sono gli street medic, un gruppo di volontari autogestiti e molto attivi, eredi di un movimento nato negli Stati Uniti negli anni Sessanta, durante le lotte per i diritti civili. Victor, che li consoce bene, sta risalendo il corteo per andare ad aiutarli:
“Gli street medic sono un gruppo ben organizzato, tra le dieci e le 15 persone, con i manifestanti che sono con loro per proteggerli. Hanno tutti il casco, li si nota perché hanno una croce rossa sulla spalla o sul casco. Appena c’è un incidente qualcuno grida ‘medic!’ e loro vanno verso di lui, lo soccorrono e cercano di evacuarlo, se le ferite sono troppo gravi, o di curarlo sul posto. Spesso si tratta di attacchi di panico per colpa del gas, o di persone che si son fatte spintonare o manganellare o che hanno beccato un ‘flash-ball’ nell’occhio, in testa o altrove”.
Incuriosita, dopo la manifestazione sono andata cercare gli street medic a Place de la République, dove molti di loro fanno i volontari all’infermeria della nuit débout. Qui ho incontrato Anna, 24 anni e un brevetto da soccorritrice, che ha accettato di spiegarmi meglio chi sono e cosa fanno questi ragazzi e ragazze.
“Gli street medic esistono in Germania, dove funzionano molto bene, nel Québec dove hanno uno statuto specifico. In Francia non ce n’erano quasi, o erano solo dei gruppetti di persone che accompagnavano collettivi o associazioni. Adesso ci sono sempre più street medic a ogni manifestazione. Non è casuale, è perché siamo davanti a un’escalation della violenza. E più si va avanti più vediamo delle ferite che magari son sempre le stesse, non per forza più gravi, ma sempre più numerose”.
Per esempio?
“Per esempio qualcuno che si trova coperto di ematomi, perché è stato colpito da qualcosa, o alcune persone che hanno a che fare per la prima volta con i fumogeni. In quel caso cerchiamo di guidarli: ‘Ok, non vedi nulla ma non ti preoccupare, mi occupo di te, ti porto in un posto più calmo’. Abbiamo anche dei casi più gravi: durante la scorsa manifestazione qualcuno si è beccato un proiettile sulla mascella, era fratturata”.
In un contesto simile, però, sapendo che la croce rossa e i pompieri non hanno accesso al corteo e sono oltre la barriera di poliziotti, è difficile trovare un posto tranquillo dove portare i feriti…
“Mi è già successo di essere in luogo che consideravo protetto e beccarmi dei fumogeni che cadevano dall’alto. Lì basta che ti entri nello zaino o ti caschi addosso e ti puoi bruciare o ferire. Una mia amica si è ritrovata con un buco nello zaino. Dei fotografi e dei giornalisti indipendenti hanno ricevuto dei bossoli di lacrimogeni sul torso e sul ventre che lasciano delle belle bruciature”.
È uno dei motivi per cui manifestanti e giornalisti vengono in corteo con caschi e maschere…
“Ci siamo accorti che sempre più persone vengono in manifestazione equipaggiate. Si portano il collirio, le maschere da sub. E non lo fanno per provocare ma perché sanno che manifestare, oggi, vuol dire ritrovarsi tra i fumogeni e quindi si preparano. C’è questa sorta di banalizzazione della violenza che sta emergendo ed è abbastanza allucinante. Non bisogna dimenticare che è una situazione violenta, che usano contro di noi delle armi che sono quasi da guerra civile e questa non è una guerra civile, stiamo manifestando per strada”.
A che tipo di armi ti riferisci?
“Ci sono i ‘flash-ball’, tutto ciò che è lacrimogeno, con i rispettivi bossoli e poco tempo fa ho anche visto delle bombe al pepe. La bomba esplode e sparge il gel al pepe, è roba tosta”.
E voi che strumenti avete?
“Nella cassetta del primo soccorso ci sono intanto dei guanti, del collirio specifico, ovviamente, delle salviette per neonati, del disinfettante, del limone, dei cerotti, delle garze, delle bende… Del Maalox, anche, che non guasta. Però più andiamo avanti più ci facciamo confiscare il materiale. Alcuni amici hanno subìto delle intimidazioni prima di andare in manifestazione. Siccome ci facciamo riconoscere ci tengono d’occhio e possiamo essere considerati anche come qualcuno che sostiene i violenti, quindi ci prendono di mira. È successo il primo maggio dove ci hanno proprio puntati. Avevamo tre feriti gravi e abbiamo fatto un cordone sanitario intorno a loro, identificandoci e mostrando i bracciali e ci siamo presi una pioggia di lacrimogeni”.
È sempre cosi difficile evacuare i feriti?
“Bisogna sempre discutere con la polizia, anche perché abbiamo sempre paura che se ne approfittino per procedere a un fermo: è successo l’altro giorno, una ragazza è venuta a cercare informazioni sul suo ragazzo che era stato ricoverato in ospedale per un colpo in testa e alla fine si è ritrovato al commissariato. Ma In generale ci si aiuta tutti gli uni con gli altri, se c’è qualcuno che è ferito gravemente e bisogna evacuarlo, la gente dà una mano. Abbiamo un ottimo rapporto con i manifestanti, più andiamo avanti più ci ringraziano, ci dicono che è fantastico averci lì… Un collega l’altro giorno si è fatto persino baciare (eheheh) è il massimo insomma”.