In Nigeria è in corso un conflitto che, oltre al valore economico enorme, si può definire anche simbolico e con ricadute pesanti sull’intero continente.
Il conflitto riguarda la Monsanto, multinazionale americana dell’agroalimentare, e una fetta consistente di società civile, un centinaio di organizzazioni di base alle quali fanno riferimento circa cinque milioni di persone.
Il colosso americano vuole introdurre in Nigeria mais e cotone transgenico, la società civile si oppone duramente tanto che si è arrivati a momenti di forte tensione con il governo federale che sembra intenzionato a concedere tutti i lasciapassare alla Monsanto. Non è un caso che la multinazionale faccia pressioni proprio adesso, in Nigeria ma anche in una buona parte dei Paesi africani. Una serie di contingenze economiche e politiche infatti sembrano favorevoli.
In primo luogo la crisi economica e il prezzo del petrolio caduto ai minimi storici. Per un Paese come la Nigeria, per esempio, è una catastrofe e la diversificazione è diventata un imperativo assoluto. In secondo luogo siccità e carestia che si abbattono su vaste porzioni del continente impongono di sviluppare un’agricoltura locale che sappia far fronte ai bisogni della popolazione senza dipendere dalle importazioni. Si tratta di fattori oggettivi che mettono in condizioni di grande debolezza molti Paesi.
La Monsanto lo sa e ha avviato la sua offensiva continentale. Gli oppositori nigeriani della multinazionale non temono tanto i danni alla salute che i semi transgenici potrebbero provocare, quanto la totale dipendenza, poi, dall’estero. Questa volta non più una dipendenza che, in momenti migliori, può essere revocata. La dipendenza dai semi diventerebbe “eterna”, una sorta di cappio al collo a meno di non diventare, a propria volta, produttore di sementi geneticamente modificate. Ma ci vogliono tecnologie e competenze che in Africa non ci sono.
La Monsanto peraltro sa molto bene che l’Africa dal punto di vista demografico sarà il continente che crescerà di più nell’intero pianeta. Ciò significa che avrà bisogno estremo di un’agricoltura intensiva, sicura, non intaccabile da batteri. E che diventerà ancora più dipendente e sottosviluppato, se i piani della Monsanto si realizzeranno.