Il salto di qualità della criminalità organizzata in Lombardia
Nasce il “consorzio” tra mafia, ndrangheta e camorra in Lombardia. Ma il Gip smonta l’impianto accusatorio
(di Alessandro Braga)
Il sistema svelato segna un salto di qualità nella modalità di operare della criminalità organizzata sul territorio lombardo. Non più diverse associazioni indipendenti, ma una sorta di federazione, un consorzio, riprendendo un termine usato negli anni Novanta, per gestire e spartirsi di comune accordo affari e potere in Lombardia, con lo scopo di fare soldi senza creare allarme sociale, a meno che non sia strettamente necessario. Proprio il non uso della violenza è uno dei punti su cui si basa il Gip per smontare in qualche modo tutta l’indagine, con 143 richieste di arresto rigettate, oltre alla negazione di un patto tra le varie criminalità. Eppure nelle carte della Dda si vede chiaramente l’esistenza di una santa alleanza tra ndrangheta, mafia e camorra. Un sodalizio che agisce, come un’Idra (da cui il nome dell’inchiesta), in vari settori che compongono il nuovo sistema mafioso lombardo. Gli affari illeciti riguardano crediti fittizi, soldi del superbonus, fondi Covid per le imprese, fino al traffico d’armi e droga e l’importazione di petrolio dall’Africa. Tra le varie operazioni, pure la gestione di parcheggi ospedalieri e appalti all’interno del carcere di Vigevano. Il tutto gestito da esponenti storici delle varie mafie, con rapporti consolidati sul territorio lombardo e in quello d’origine (ci sono pure fedelissimi dell’ex latitante Matteo Messina Denaro tra gli arrestati). Senza scordare i rapporti con la politica, a vari livelli, utili per portare a termine i propri affari. Nessun politico al momento è indagato, ma nelle carte dell’accusa si sottolineano i forti rapporti soprattutto con esponenti di Fratelli d’Italia, di ex assessori regionali leghisti e membri del coordinamento lombardo di Forza Italia. Insomma, dell’attuale compagine di governo, in Regione e in Italia, pare non mancare nessuno.
I protagonisti del consorzio delle mafie
(di Claudio Jampaglia)
I carabinieri di Milano sono arrivati a 100 metri da uno dei covi di Messina Denaro, a Campobello di Mazara del Vallo, due anni prima della cattura del superboss, per filmare l’incontro tra alcuni protagonisti del consorzio delle mafie in Lombardia a cui partecipavano: l’emissario del clan palermitano dei Fidanzati, un rappresentante dei trapanesi chiamato “l’avvocato” anche se non lo è, e uno dei Senese, la camorra di Afragola che governa Roma. L’importanza per il clan di Messina Denaro del “consorzio lombardo” viene confermata dalla presenza di uno stretto parente del boss Paolo Errante Parrino, detto Zio Paolo, che vive ad Abbiategrasso dove tesse relazioni al bar Las Vegas (oltre che in una azienda di arredamenti) dove i carabinieri intercettano anche l’attuale sindaco, un assessore e un consigliere comunale di destra con cui secondo i carabinieri “Zio Paolo” ha rapporti privilegiati e di confidenza, anche se in alcune conversazioni diventa minaccioso. Sono i trapanesi a essere chiamati a dire l’ultima parola su spartizioni e debiti tra clan e mettono a disposizione 200 società cartiere per riciclare e incassare. I soldi manco a dirlo vengono poi puliti in Svizzera, con continue citazioni di commercialisti e fiduciari. I carabinieri arrivano al consorzio indagando sulla ricostituzione della locale di ‘ndrangheta di Lonate Pozzolo distrutta dagli arresti e rimessa su con l’aiuto dei boss siciliani, con tanto di probabile ammazzatina per lupara bianca di un mafioso fuori dai ranghi. Nel consorzio ci sono i Nicastro che nel varesotto rappresentano la mafia di Gela, i catanesi della famiglia Mazzei, i Crea di Reggio che rappresentano gli Iamonte di Melito Porto Salvo ma ormai anche di Desio da tanto sono radicati da decenni. Fanno capolino le ‘ndrine di San Luca, i clan camorristi di Torre annunziata, di Secondigliano. Tutti presenti al matrimonio “dell’avvocato” che si vanta con la neo sposa di aver messo al tavolo siciliani, campani e calabresi. Non è un caso perché i carabinieri documentano diversi pranzi tra i clan in varie località lombarde: Dairago, Busto Garolfo, Cinisello Balsamo. Sono i tavoli in cui si spartiscono appalti in Rsa e ospedali, dai parcheggi alle forniture, affari immobiliari e lavori del superbonus, commerci nel settore petrolifero e interessi nell’immancabile Ortomercato di Milano dove le prime inchieste di quella che allora si chiamava infiltrazione mafiosa risalgono a più di 40 anni fa. Come il Gattopardo anche in Lombardia tutto cambia perché nulla cambi.
Intervista al procuratore capo di Brescia Francesco Prete
Un lato non secondario dell’inchiesta è la bocciatura del Gip dell’imponente indagine (5mila pagine) della Procura antimafia lombarda. Una delle ragioni dello scontro in atto o meglio delle diverse interpretazioni su cosa sia associazione mafiosa al Nord, lo aveva spiegato qualche mese fa il Procuratore capo di Brescia, Francesco Prete alla platea dei cadetti della Guardia di Finanza. Ricordiamo che il reato di associazione di stampo mafioso, introdotto nell’ordinamento nel 1982 dopo gli omicidi di Pio la Torre e Carlo Alberto Dalla Chiesa, era pensato per la mafia originaria siciliana. Ecco cosa spiega il procuratore capo.