La fine di un’epoca è nella dichiarazione malinconica di Paola Taverna di M5S: “Si sentiranno ancora per un po’ le mie urla al Senato”.
Lei è la senatrice arrivata dalla borgata e con le sue grida verso gli avversari – di solito ai tempi erano quelli del PD – con il braccio proteso in avanti e la mano aperta ha rappresentato gli anni ruggenti del Movimento 5 Stelle, quello dei parvenu della politica che volevano abbattere il Sistema.
È andata in un altro modo.
La lista di chi non tornerà in Parlamento è lunga. I più famosi sono il presidente della Camera Fico, Taverna, l’ex ministro della Giustizia Bonafede e l’ex collega Toninelli. E Vito Crimi, colui che nel 2013 sbeffeggiò Bersani in diretta streaming quando il segretario del PD propose una alleanza politica ai grillini.
Ma Conte perde diverse persone che stavano dalla sua parte nelle lotte intestine mai sopite nel Movimento. Fabiana Dadone, Federico D’Incà, Riccardo Fraccaro, Nunzia Catalfo, colei che ha apposto la firma sul disegno di legge per il salario minimo, Giulia Grillo. Ministre, ministri, presidenti di commissione.
Un personale politico che si è formato con fatica e che ora torna a casa. Molti dei circa cinquanta parlamentari non ricandidabili spariranno nel nulla.
È un problema che Conte ha usato fino all’ultimo nella contesa con Grillo: non dissipare un patrimonio professionale difficile da ricostruire. A ottobre rivedremo le scene dei parlamentari neo eletti con M5S che si aggirano spaesati tra i corridoi dei Palazzi. Ma Grillo non ci ha sentito, un po’ per ragioni ideali – una regola fondativa non si può togliere – un po’ per ragioni di potere. Meglio non avere intorno personalità che crescono troppo e che possono fare ombra. E meglio non dare un vantaggio a Conte.
Il vero tema adesso è che cosa diventerà il Movimento 5 Stelle. Il solo nome che circola tra quelli entranti con un po’ di fama alle spalle è quello della ex sindaca di Torino Chiara Appendino. Non una pasdaran anzi una che negli anni ha imparato a lavorare coi poteri della città.
Poi ovviamente c’è l’ombra eterna di Di Battista. Profilo radicalmente diverso che incarna lo spirito della lotta dura.
Una cosa che non è esattamente l’ideale per Conte.
Conte ha in mente una campagna elettorale all’insegna del radicalismo ma le barricate non sono mai state il suo stile né, soprattutto, pensando al futuro, il suo obiettivo politico.