“Anche questo negoziato finirà con un nulla di fatto. Assad e i russi continueranno a bombardare i civili e a non rispettare le risoluzioni del consiglio di sicurezza”.
Yahia Hallak è rimasto a Huritan, a nord di Aleppo, con tutta la sua famiglia, nonostante i raid russi e i combattimenti a una manciata di chilometri da casa sua. Come tutti i siriani che sostengono l’opposizione Yahia, anche in questo periodo di tregua, non si fida del regime e pensa che le trattative che dovrebbero riprendere oggi a Ginevra non produrranno alcun risultato. “Assad non vuole fermare la guerra – ci spiega Yahia Hallak – sta solo cercando di prendere tempo”.
Difficile dargli torto. Il governo di Damasco ha ripetuto più volte che a Ginevra non si discuterà del futuro di Assad e che il presidente siriano rimarrà al suo posto anche durante un’eventuale transizione. Dichiarazioni che sulla carta bruciano il negoziato ancora prima del suo inizio. Ma il futuro della Siria va oltre la volontà di Assad e le richieste dell’opposizione.
Se non fosse stato per il supporto di Iran e Russia, il regime sarebbe già caduto da tempo. Gli iraniani hanno pianificato e coordinato la strategia militare per fermare i ribelli, i russi hanno aggiunto la potenza di fuoco necessaria per far avanzare nuovamente le truppe governative. È successo nella Siria centrale, Homs e Hama, è successo sulla costa mediterranea, Latakia, è successo a nord, le province di Idlib e Aleppo.
Questo ha dimostrato per l’ennesima volta che il futuro della Siria non verrà deciso a Damasco.
Il mediatore internazionale, Staffan De Mistura, dovrà lavorare proprio in questa direzione. Dovrà convincere le potenze mondiali e regionali, con tanti interessi in Siria, a lavorare sul serio per la pace. Il caso russo e iraniano, ancora una volta, è emblematico. Gli uomini e i mezzi mandati in Siria da Mosca e Tehran combattono sul campo a fianco dell’esercito di Damasco e delle tante milizie che appoggiano Assad. Sarebbe surreale pensare che Putin e gli Ayatollah iraniani escano di scena proprio al momento di prendere delle decisioni politiche.
Il grosso problema, da questo punto di vista, è capire quali siano le reali intenzioni di russi e iraniani. Mentre sull’altro fronte, quello dell’opposizione, il problema è se Stati Uniti, Turchia e Arabia Saudita saranno in grado di seguire un’unica linea politica. La mancanza di una strategia definita e di un vero supporto al fronte anti-regime ha mandato in guerra decine di gruppi armati senza i mezzi per poter sconfiggere il nemico. Con l’obiettivo di indebolire il regime Washington, Ankara e Ryiad hanno sfruttato una buona parte della rivolta siriana.
Nelle prossime ore l’attenzione mediatica sarà su regime e opposizione. La squadra di mediatori che lavora con Staffan de Mistura dovrà provare a costruire un minimo di fiducia reciproca tra le due delegazioni, tra le quali non sono previsti incontri diretti. Ma per sfruttare quel piccolo spiraglio ancora a disposizione per fermare la guerra servirà ben altro. Soprattutto convincere i tanti attori esterni che è finito il tempo di usare i siriani per i loro interessi geopolitici. In modo che su Huritan, tra Aleppo e il confine turco, così come in altre migliaia di centri in tutta la Siria, non cadano più bombe e si possa tornare a essere ottimisti.