“Opero a Sibari da quasi quarant’anni. In questo territorio ho realizzato un grande villaggio di seconde case negli anni 80 e 90. Negli anni Duemila ci siamo dedicati alla costruzione e gestione di strutture ricettive per il turismo. Ne abbiamo costruite varie e ora ne gestiamo tre per un totale di 3mila posti letto facendo di questo resort la terza struttura più grande d’Italia”.
Si presenta così, Luigi Sauve, con l’orgoglio dell’imprenditore – romano e “calabrese per scelta” – . Orgoglio intatto, ma ferito dopo i ripetuti attentati al suo albergo. Ora è preoccupato e impaurito, lo ripete molte volte nel nostro colloquio. Ma, più di tutto, sente una sensazione di abbandono da parte dello Stato. In questa intervista Luigi Sauve racconta quello che gli sta succedendo.
Ci racconta quello che è successo tra la fine dello scorso anno e l’inizio del 2019?
Abbiamo subìto due incendi molto grandi in due delle tre nostre strutture. Tra l’uno e l’altro, l’auto di un mio stretto collaboratore è stata data alle fiamme.
29 dicembre 2018: cosa è accaduto?
Nella notte tra il 28 e il 29 dicembre dello scorso anno, alla vigilia di un grosso matrimonio per il quale la sala era tutta apparecchiata per oltre cinquecento persone, è stato appiccato un incendio proprio nel salone. Le fiamme sono state fatte partire da una barca di legno, al centro del locale che noi avevamo adibito a buffet. L’incendio è stato devastante.
Quando ve ne siete accorti?
La mattina dopo: quando sono arrivati i miei collaboratori hanno trovato una situazione di tregenda. Danni gravissimi, ancora in corso di quantificazione, ma veramente molto molto ingenti. Nel locale abbiamo trovato la tanica di benzina che era stata usata. Non c’è nessun dubbio sulla matrice criminale, anche perché la tanica lasciata sul posto è anche un messaggio, un avvertimento.
Cosa ha pensato?
Bè, ho pensato che fosse una cosa anomale perché non avevamo mai ricevuto minacce, non eravamo mai stati avvicinati da nessuno in tanti anni. Ho pensato anche che potesse essere una cosa contro qualcuno degli invitati al matrimonio o agli organizzatori della festa. Purtroppo, alla luce di quello che è accaduto dopo, abbiamo capito che ce l’avevano proprio con noi.
Perché?
Probabilmente questo è un territorio che dal punto di vista turistico è abbastanza sviluppato e quindi colpendo la struttura più importante si colpiscono tutti quanti.
Infatti, il 5 gennaio viene data alle fiamme la macchina di un suo collaboratore. E poi, il 9 gennaio, ancora un attacco all’albergo…
Sì, il 9 gennaio è stato dato fuoco alla lavanderia del resort, che è ubicata in un altro ramo del villaggio. E’ una grandissima lavanderia, con macchinari industriali, dove non solo c’è il macchinario ma, durante l’inverno, noi vi ricoveriamo tutta la biancheria della struttura, quella da letto e quella da sala.
Molti danni, in questo caso?
Distrutto tutto. I vigili del fuoco hanno impiegato oltre dieci ore per spegnere l’incendio.
Doloso, senza dubbio?
Sì, c’era la porta scassinata e, anche in questo caso, era stata lasciata la tanica di benzina.
A quel punto il suo stato d’animo qual era?
Molto, molto preoccupato. La serenità non ce l’ho più. E la serenità per chi svolge un’attività imprenditoriale abbastanza importante in un territorio di questo tipo è fondamentale. Senza quella, è difficile andare avanti.
C’è stata, adesso, una reazione nient’affatto scontata. Una manifestazione chiamata “Patto per la legalità”, che lei ha voluto promuovere…
Più che promossa da me, è stata proprio una cosa spontanea del territorio che si è alzato in piedi per manifestare in piccola parte la solidarietà a me, e in gran parte credo, spero, la voglia di cambiare e di non voler sottostare a queste intimidazioni. Per manifestare che noi vogliamo dare una svolta culturale al territorio. Per uscire dal gioco perverso dell’isolamento, della rassegnazione che mortificano tutto il territorio calabrese.
Avete lanciato l’hashtag “senza Stato mollo”: cosa vuol dire?
E’ una provocazione che vogliamo fare alle istituzioni perché da quando sono successi questi fatti lo Stato si è manifestato in maniera molto blanda. E’ vero che il presidente della commissione antimafia Morra è venuto qui, ma dal governo centrale e dalle altre istituzioni c’è stata una partecipazione veramente molto tiepida.
Vi sentite abbandonati?
Sì, ci sentiamo piuttosto abbandonati. Se lo stato non ha intenzione di investire nel territorio e di manifestarsi, allora bisogna abbandonarlo.
Qualcuno vi ha risposto?
Dal governo assolutamente no. Ma alla manifestazione hanno partecipato più di cinquecento persone. Speriamo di aver risvegliato una reazione importante, anche per farci sentire a Roma.
Lei ha paura per sé?
Insomma, sa, sereno non lo sono più. Abbiamo bisogno che lo Stato presìdi il territorio in maniera più importante perché altrimenti non ce la facciamo.
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