Italia e Francia hanno finora 47mila morti di COVID, anche se la Francia ha un po’ meno del doppio dei nostri contagiati. La Spagna ha più casi di noi, ma meno morti: 40mila. Peggio di questi 3 Paesi in Europa c’è solo la Gran Bretagna (55mila decessi, finora). E subito dopo al quartetto, da ieri, nella classifica europea, Turchia compresa, c’è la Lombardia che con i suoi 20mila morti si conquista un rango internazionale.
I morti di COVID nella Regione più ricca d’Italia, tanto per capirci sono 4 volte quelli della Cina, il tasso di mortalità è due volte quello della Spagna e se il paragone lo fate con la Germania, terra di confronto mirabile per i nordisti, la situazione si fa esemplare: sono 13mila i decessi dalla Baviera ad Amburgo e il perché è facilmente spiegabile: bastano i capitoli di spesa per la sanità pubblica e la medicina del territorio, quella che conta per contenere un’epidemia prima che arrivi alle terapie intensive.
Tre decenni di austerità fiscale da un lato e di privatizzazione lombarda insieme hanno fatto il disastro. Ma i numeri non possono dire la solitudine di quelle 20mila morti, nella zona che si definisce da un ventennio un modello di sanità.
Il Presidente Fontana e il suo Assessore Gallera hanno detto che è stata una guerra, uno tsunami, una pioggia di meteoriti. Un virologo che piace al centrodestra ieri sera ha detto che non possiamo avere questa mortalità, abbiamo sbagliato a contare. Si arriverà all’erano tutti vecchi e malati. E quei 20mila morti, senza fiato, chiedono di non essere dimenticati, soprattutto ogni volta che qualcuno dirà: Lombardia, modello, eccellenza.