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Lo stipendio esorbitante di Tavares, più di mille volte la paga di un operaio

Stellantis Tavares ANSA

Sta facendo discutere la decisione dell’assemblea degli azionisti di Stellantis di aumentare la retribuzione dell’amministratore delegato Carlos Tavares fino a oltre 36 milioni di euro annui, più di mille volte la paga di un operaio, proprio mentre il gruppo sta tagliando la produzione in Italia. E fa discutere però soprattutto fuori dall’Italia, dove il tema degli stipendi sproporzionati, ed ingiustificati, dei top manager è da tempo fuori controllo, senza che nessuno prenda seriamente in considerazione l’ipotesi di correttivi.

Tocca scomodare Adriano Olivetti, citato persino dal Papa davanti a Confindustria, “nessun dirigente, neanche il più alto in grado, deve guadagnare più di dieci volte l’ammontare del salario più basso”. Allora l’amministratore delegato di Fiat Vittorio Valletta guadagnava 12 volte un operaio. Marchionne era arrivato a 437 volte quello di un metalmeccanico, nel 2017, con poco meno di 10 milioni di euro. Nel 2021 Tavares era poco sotto i 20 milioni di euro, tra stipendi e bonus, 758 volte un operaio. Ma anche il doppio del capo di Volkswagen, il quadruplo di Mercedes e BMW. Parliamo di una media di stipendi dei top manager che nel 2022 l’Ocse quantificava in 649 volte quella di un operaio. Tra incentivi e bonus, l’ultima remunerazione arriva a 36,5 milioni di euro.

Oltre 1.000 operai, fa notare il sindacato. Lo stesso numero di quelli che Stellantis ha appena incentivato a lasciare Mirafiori. A Stellantis, dentro l’assemblea degli azionisti il 30% dei soci ha votato no, evocando tra gli altri proprio motivi di reputazione. La scelta di Stellantis tocca quindi ovviamente la situazione italiana, dove il gruppo sta gradualmente, ma inesorabilmente, disimpegnando. Ma si pone dentro un tema generale: la questione degli stipendi smisurati dei top manager.

Al di là del tema morale e di palese ingiustizia, da l’idea di un sistema produttivo dove ormai finanza e dividendi valgono più del lavoro. E pone anche la questione di un ambiente economico dove la redistribuzione, in sostanza non esiste ed anzi va al contrario. In un editoriale dedicato al tema, Le Monde sottolinea il rischio che questa scelta inneschi un’ulteriore gara al rialzo.

Secondo uno studio dell’Economic Policy Institute, dal 1978 al 2018 le remunerazioni degli amministratori delegati sono cresciute del 940%, quelle dei manager del 339,2%, contro l’11,9% del salario medio. Lo studio evocava anche la necessità di correttivi, che però nessuno, in nome del mercato e della finanza, ha seriamente intenzione di prendere in considerazione. Proprio Macron a partire dal caso Stellantis propose all’UE un regolamento, finito in lettera morta. Di recente proprio Tavares in modo sprezzante dichiarò che se questo è ritenuto ingiusto, si faccia una legge. “Questo rifiuto di autoregolamentarsi”, conclude Le Monde, “equivale ad una provocazione pericolosa”.

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    Massimo Alberti
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    «Dal decennio populista al nazionalcapitalismo». Lo scienziato politico Mattia Diletti, dell’università La Sapienza di Roma, ne ha parlato a Pubblica. Negli anni ‘10 in occidente maturano movimenti e leader politici che si fanno portatori dell’insoddisfazione delle classi medie e di quelle più povere della società. Sono le conseguenze della crisi del 2007-2008, e dell’impoverimento crescente. In Europa è il lascito delle politiche di austerità. I leader populisti promettono cambiamenti radicali in nome del popolo, l’affossamento delle elite. Si dicono anti-sistema. Negli anni ‘20 prende corpo l’ideologia nazionalcapitalista (organizzazione capitalista, nazione, interesse nazionale, promessa di restituzione di benefici materiali e immateriali andati perduti). Finirà per alimentare il consenso verso gli esponenti attuali del sovranismo di destra più estremo.

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