C’è il nome di una campionessa tra quelli dei sette atleti fermati per doping in Kenya. Appartiene a Emily Chebet, specialista dei 10 mila metri e due volte oro mondiale nel Cross Country nel 2010 e 2013.
La sua carriera è interrotta fino al luglio 2019. A deciderlo la federazione dell’atletica di Nairobi, che prova così a reagire alle accuse internazionali di utilizzo di sostanze proibiti. La lista include due corridori che avevano fallito i test ai Mondiali di Pechino in agosto: Joyce Zakary and Koki Manunga, già sospesi in via precauzionale.
In Cina il Kenya ha vinto il medagliere davanti alla Jamaica, ma su quei risultati sono ora calate inquietanti ombre.
Gli altri atleti a cui è imposto lo stop sono Agnes Jepkosgei, Bernard Mwendia, Judy Jesire Kimuge e Lilian Moraa Marita.
Il Paese africano è stato chiamato in causa dall’ex numero uno della Wada, l’agenzia antidoping internazionale, Dick Pound, durante il suo ormai celebre atto di accusa nei confronti dell’atletica moscovita.
È opinione diffusa che prima di Rio 2016 arriveranno richieste di squalifica anche per tesserati del Kenya, così come avvenuto per i russi.
Anche il Kenya, sostiene la Wada, avrebbe praticato il doping di stato: gli organismi federali cioé sarebbero stati al servizio dell’assunzione di sostanze illecite da parte dei tesserati, per migliorare le loro performance.
Per questo motivo per giorni ci sono state proteste sotto la sede della federazione di atletica leggera di Nairobi. Ci sono stati anche momenti di tensione, quando cinquanta contestatori sono entrati negli uffici e si sono barricati dentro.
Alla protesta, condotta da numerosi atleti, si sono uniti anche alcuni uomini della federazione, pronti a mollare il loro capo, Isaiah Kiplagat, il principale bersaglio delle proteste. Le sue dimissioni sono la richiesta minima di chi manifesta, che chiede uno sport pulito e senza il doping. Ragioni condivise da alcuni grandi nomi dello sport nazionale come Wilson Kipsang e Wesley Korir.
Ma non c’è solo il doping, anzi. Kiplagat è accusato di una gestione clientelare dell’atletica kenyota e di piu di un episodio di corruzione. In particolare lui, il suo vice David Okeyo e un terzo collaboratore avrebbero incassato 700mila dollari che lo sponsor tecnico Nike ha messo a disposizione del Paese per lo sviluppo della corsa e delle altre discipline. Una cifra enorme su cui, scrive il Sunday Times, la Iaaf, la federazione di atletica internazionale, indaga.
Bisognerà vedere che reazione avranno le squalifiche delle ultime ore, se riusciranno o meno a placare proteste che vengono da più lontano.