
Protagonista di popolari trasmissioni di Radio Mali, negli anni sessanta Boubacar Traoré, classe 1942, fece epoca nel suo Paese come interprete dell’euforia e dell’orgoglio dell’era dell’indipendenza: ma le sue canzoni, e in particolare l’hit Mali Twist, furono anche l’emblema di un Paese di giovani, che vivevano con entusiasmo nuove mode e nuovi stili, nei comportamenti, nell’abbigliamento e certo non ultima nella musica.
Con i piedi ben piantati nella cultura mandinga ma anche con le orecchie ben aperte alle suggestioni del rock’n’roll d’oltreoceano, Traoré, che utilizzò la chitarra elettrica parecchio prima del più giovane Ali Farka Touré, inneggiò con Mali Twist alla costruzione del futuro dell’ex colonia francese. Ma nel ‘68 il governo socialista di Modibo Keita fu spodestato dal colpo di stato di Moussa Traoré: associato al precedente regime, Boubacar Traoré cadde in disgrazia e le sue canzoni furono bandite dalla radio.
Il cantante e chitarrista tornò mestamente alla sua città natale, Kayes, dove lavorò in campagna e aprì un negozio. Passarono due decenni prima che, nella seconda metà degli ottanta, Traoré venisse riscoperto dalla televisione maliana: ma proprio allora l’adorata moglie Pierrette morì di parto. Il trauma e il bisogno lo spinsero all’emigrazione in Francia: Traoré aveva sei figli da mantenere, e nel Mali di allora il mestiere di musicista difficilmente consentiva grandi guadagni. Per due anni lavorò nell’edilizia nella regione parigina: Traoré sparì, e fu anche dato per morto. Ma a Parigi alla fine degli anni ottanta fu di nuovo riscoperto, incise per la prima volta un album, pubblicato nel ‘90, e per lui cominciò una carriera internazionale, anche se senza arrivare al successo che arrise ad Ali Farka Touré.
Nel frattempo la sua musica era cambiata: dalla giovanile sensibilità a modelli internazionali, anche se declinati in maniera inconfondibilmente maliana, Traoré era passato ad una vena acustica, essenziale, a volte austera, con il fascino del blues arcaico. È il tipo di dimensione musicale che – a diversi anni di distanza dall’ultimo degli album pubblicati dalla Lusafrica, l’etichetta che ha valorizzato Cesaria Evora – ritroviamo in Live!, un album registrato in Svizzera appunto dal vivo, e uscito grazie a sostegni elvetici. Traoré ha accanto a sé l’armonicista francese Vincent Bucher, con cui da una ventina d’anni ha trovato una profonda sintonia, e il trentenne percussionista Jeremie Diarra. Bucher, che negli anni ottanta ha abbeverato la sua armonica a bocca alla fonte del blues afroamericano, con musicisti come Louisiana Red, rende più esplicita l’affinità della musica di Traoré col blues.
Oggi ottantaduenne, l’anziano musicista è un maestro in grande forma, e ci consola ascoltarlo dopo che la musica maliana ha appena perso un altro grande protagonista, Amadou Bagayoko della coppia Amadou et Mariam, che, messosi in luce nella musica maliana degli anni settanta, rappresentava – è morto settantenne – una generazione più giovane di quella di Traoré.
Concludiamo con una raccomandazione: chi padroneggia il francese o l’inglese – o magari l’olandese dell’originale – non manchi di accompagnare all’ascolto della musica di Traoré la lettura della sua patetica storia e della perdita della sua Pierrette nel più bello fra i racconti – tutti di straordinaria profondità di scrittura e di rara capacità di immedesimazione in una materia africana – che la scrittrice dei paesi bassi Lieve Joris ha raccolto nel suo splendido Mali Blues, uscito nel ‘96, che ci pare un delitto che nessun editore italiano abbia ancora pensato di tradurre.
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