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L’Iran e il caso di Armita Geravand

Quello che sappiamo è che la 16enne Armita Geravand è entrata nella metropolitana di Tehran con le sue gambe e senza velo, e ne è uscita trascinata da alcuni passeggeri priva di sensi per poi essere portata via in barella. Da quel momento – 5 giorni fa – è in coma. Questa è l’unica certezza che al momento si ha di questa storia che ha però – purtroppo – molte cose in comune con quella di Masha Amini, la 22enne uccisa poco più di un anno fa perché portava male il velo. Le ong e gli attivisti – soprattutto quelli legati alla diaspora – stanno denunciando l’accaduto come un altro caso di violenza della polizia morale. Nonostante ci siano diversi aspetti che possono far propendere per questa opzione, non ci sono ancora certezze, né dati fattuali se non, appunto, quanto mostrato dal video delle telecamere di sicurezza della metropolitana della capitale iraniana.
Ciò che succede nei pochi minuti che passano tra il momento in cui Armita sale sul treno insieme ad altre due amiche (anche loro senza Hijab) e quello in cui svenuta viene portata fuori poche stazioni dopo, non è dato sapersi perché il governo si rifiuta di diffondere le immagini delle telecamere presenti dentro il treno. Un elemento, questo, che non gioca a favore dell’innocenza della polizia.
La versione ufficiale del governo, però, è che Armita abbia avuto un malore, legato ad un calo di pressione, sia svenuta e abbia picchiato la testa e per questo motivo sia in coma. Secondo una persona informata dei fatti, intervistata da una radio indipendente iraniana con base nei Paesi Bassi, le tre ragazze avrebbero avuto una lite con la polizia per il loro capo scoperto, e Armita sarebbe stata spinta da un agente picchiando la testa contro un oggetto in ferro.
Poco dopo l’incidente, il regime iraniano ha diffuso un’intervista ai due genitori in cui la madre – in modo un po’ confuso – ripete la versione governativa.v“Mia figlia… credo sia la sua pressione” dice la mamma “ non so bene cosa, credo… dicono che ha avuto un calo di pressione ed è svenuta e ha picchiato la testa su uno spigolo”. Mentre sue madre pronuncia queste parole, il padre sta in silenzio, braccia incrociate e sguardo basso.
L’ospedale dove Armita è ricoverata è circondato dalla polizia, che impedisce l’ingresso a visitatori e giornalisti, rendendo ancora più difficile la ricostruzione dell’accaduto. E oggi, secondo le ong, Shahin Amadi, la madre di Armita èvstata arrestata dopo avere gridato contro le forze di sicurezza perché non le hanno permesso di vedere la figlia. Sempre secondo gli stessi attivisti, il regime iraniano starebbe anche facendo pressioni e minacce agli insegnanti e ai compagni di scuola della ragazza perché supportino la versione governativa.
Da un anno a questa parte, raccontare quello che succede in Iran è estremamente complicato. Per i giornalisti è praticamente impossibile lavorare, e anche per quelli internazionali è molto difficile svolgere il proprio lavoro senza interferenze del regime. In più, dopo le proteste scoppiate dopo la morte di Masha Amini e la brutale repressione che è seguita, donne, attivisti e cittadini hanno paura di esporsi rendendo ancora più difficile l’uscita delle notizie dal paese. Non è possibile dire oggi con certezza che Armita Geravand è stata vittima – come Masha Amini – della violenza della polizia, ma è indubbio che il contesto e gli elementi di cronaca non permettono un grande ottimismo. Quel che è certo è che questo è un motivo in più per tenere alta l’attenzione sull’iran e ancora di più il sostegno alle donne e agli uomini che continuano a lottare e resistere.

Foto | Ansa

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    Martina Stefanoni
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