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L’incubo di Gaza visto con gli occhi di una 23enne: “Mi manca ballare e ridere con le amiche”

Gaza cover

Aya Ashour è una 23enne di Gaza, attivista per i diritti umani e delle donne.

Dove ti trovi adesso?

Al momento mi trovo a Deir al-Balah. Credo sia il settimo posto dove ci siamo spostati con la mia famiglia. Sono stata sfollata da Khan Yunis, prima ancora da Gaza, e da dalla mia città, al-Mughraqa.
Non so come descrivere la situazione. Abbiamo fame, soprattutto in questo periodo, perché l’occupazione israeliana impedisce agli aiuti umanitari di entrare a Gaza.
Quindi qui non c’è niente. Dalla mattina ogni giorno sento mia sorella Rula che mi chiede della carne. Ha solo tre anni e mi dice “Voglio carne”. E io non so dove trovarla, non posso averla, perché non c’è carne al mercato. E se la trovi, per 100 dollari al chilo.
Questo è inaccettabile. Allo stesso tempo, continuano a uccidere le persone bambini, donne… prendono di mira le tende, le case, e l’evacuazione continua da una città all’altra.
Al momento, l’IDF dice di controllare il 30% della Striscia di Gaza. Ma in realtà controlla tutta la Striscia di Gaza. Controlla l’aria e il mare. E la terraferma. Quindi, non so come trovare le parole per descrivere la situazione qui. Ma ogni notte, cerchiamo solo di sopravvivere.

Hai parlato del blocco imposto da Israele a ogni tipo di aiuto umanitario. Come fate a trovare cibo, acqua, medicine?

È un incubo. Anche prima del blocco era dura. Ma ora è quasi impossibile. Stiamo in fila per ore solo per avere un sacco di pane e dell’acqua. Le medicine sono quasi inesistenti. La gente muore non solo a causa delle bombe, ma anche di malattie, tumori, infezioni. È una punizione collettiva. Il mondo deve vedere questa situazione per quello che è: una catastrofe umanitaria.
Io personalmente sto cercando di impegnarmi per dare qualcosa alla mia famiglia. Da quando la guerra è tornata il mese scorso, ho iniziato a lavorare per un’organizzazione internazionale qui come supervisore in un dipartimento per la tutela dei minori. Ma nell’ultimo mese non siamo riusciti a fare niente, quindi non ho più uno stipendio.
Tutti abbiamo dolore da qualche parte o un fastidio nel corpo, ma non abbiamo medicine. Cerchiamo solo di procurarci qualcosa, del tè, qualsiasi cosa. E per quanto riguarda il cibo, penso che nei prossimi giorni diventerà molto difficile trovare anche il pane, perché al mercato non c’è più farina.

Tu sei anche un’attivista per i diritti delle donne. Cosa significa essere una donna a Gaza in questo momento e quali sono le principali difficoltà?

Credo che per le donne a Gaza, anche prima della guerra, la situazione fosse molto più difficile. Io ho cercato di completare gli studi in una situazione difficile e allo stesso tempo lavorare per la mia famiglia. Tutte le donne qui a Gaza sono caregiver, sopravvissute, protettrici. Ma siamo anche bersagli. Molte donne hanno perso la casa, i figli, intere famiglie.
E allo stesso tempo, non riusciamo a trovare prodotti per l’igiene sul mercato. Non c’è privacy. I prodotti per le mestruazioni non sono disponibili.
Le donne incinte non hanno accesso agli ospedali. Ma nonostante questo, le donne di Gaza continuano a resistere perché non hanno altra scelta.
Come donna palestinese di Gaza, comunque, non mi sento alla pari con nessuna donna al mondo perché sono solo una donna palestinese di Gaza. E io che faccio attivismo per i diritti delle donne, cerco di mostrare alle donne di tutto il mondo cosa sta succedendo qui a noi. Ma allo stesso tempo, non sono alla pari con nessuna di loro.
Non posso iscrivermi o frequentare l’università. Non posso continuare gli studi. Non posso sopravvivere. Non posso continuare la mia vita normale perché sono una donna palestinese di Gaza. E questo mi fa sentire, con tutte le mie convinzioni sui diritti delle donne, veramente sconvolta da tutto quello che succede qui. Perché non abbiamo più nulla.

Che cosa ti manca di più?

Mi manca ballare nella mia stanza, mi manca la mia casa. Mi mancano le cose normali, andare all’università, camminare liberamente, leggere un libro, parlare con le amiche, andare al mare, vedere il mio ragazzo in una situazione normale.
Mi manca ridere senza paura. Mi manca poter pianificare il mio futuro. In questo momento, stiamo solo progettando di sopravvivere.
Ed è così difficile essere una giovane donna di 23 anni perché ho perso tutta la mia privacy. Vivere in una tenda con tutti i membri della mia famiglia non è facile. E mi manca mangiare qualcosa senza pensare al prezzo.

E cosa sogni?

Il mio sogno in questo momento è sopravvivere e lasciare Gaza per continuare gli studi, perché questo era il mio sogno già prima della guerra. Stavo cercando di ottenere una borsa di studio per un master in diritto internazionale. Quindi questo è il mio sogno: sopravvivere e rimanere in vita finché non potrò evacuare dalla striscia.
E non voglio perdere nessuno della mia famiglia. Amo tantissimo le mie sorelle, Nora, Jenna e Rula. Sono tutto per me.
E non voglio perdere nessuna di loro. Per la mia mente è inaccettabile anche solo il pensiero.
E forse il mio sogno più grande è vivere in una Palestina libera, ma in questo mondo, penso sia impossibile.
Sogno di continuare a lavorare nel campo del diritto e dei diritti umani, di contribuire alla ricostruzione di Gaza e di raccontare le nostre storie al mondo, non come vittime, ma come sopravvissuti e come voce di speranza. Perché questi siamo noi a Gaza. Amiamo tutti la vita a Gaza. Non vogliamo solo morire o essere uccisi. Vogliamo vivere la nostra vita in una situazione normale, in pace e dignità.
E sì, questi sono i miei sogni più grandi.

  • Autore articolo
    Martina Stefanoni
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