La campesina Rosa Acero non può che piangere, quando le chiedono di raccontare quella violenza subita 18 anni fa, sotto il regime di Fujimori. Un’infermiera la venne a cercare nel suo villaggio e le fece bere un narcotico di nascosto. Mentre era incosciente, la sottoposero a un intervento chirurgico, legandole le tube. Da allora non può più avere figli. Rosa è una delle migliaia di donne indigene sterilizzate a forza alla fine degli anni ’90 con lo scopo occulto di diminuire la percentuale di indigeni fra la popolazione peruviana. “Rosa, tu fai figli come un’animale” le aveva detto l’infermiera. “Ne hai già quattro: ti dobbiamo legare (le tube, ndr)”.
Le donne come Rosa sono in prima fila nelle manifestazioni contro Keiko Fujimori, che aspira ed essere eletta presidenta del Perù, senza rinnegare la politica di suo padre. Alberto Fujimori ora è in carcere con una condanna a 25 anni per torture e corruzione. Il 5 marzo, anniversario del suo autogolpe (quando Fujimori nel 1992 sciolse a forza il Parlamento), decine migliaia di persone hanno marciato a Lima, Cusco e in altre città peruviane per gridare “Fujimori nunca màs”, mai più. Troppe violazioni dei diritti umani, il paese saccheggiato, lo strapotere dei militari, il terrorismo di Sendero Luminoso sconfitto con metodi ancora più violenti di quelli usati dai guerriglieri stessi.
Per una parte dei peruviani, il fujimorismo è un incubo che rischia di tornare a farsi reale. Keiko è in testa nei sondaggi, ma non tanto da riuscire a passare al primo turno nelle elezioni del 10 aprile. Se il secondo turno ci sarà – all’inizio di giugno – la speranza è che i voti degli antifujimoristi (ora dispersi fra vari candidati) – si concentrino sul suo sfidante. Successe proprio questo nelle elezioni del 2011. Keiko Fujimori era in testa, ma al secondo turno fu travolta suo sfidante Ollanta Humala: un politico senza carisma, votato non tanto dai suoi estimatori, ma da tutti quelli che odiavano Keiko.
Keiko, 40 anni, ha comunque una buona fetta di sostenitori, ma non per suo merito. Ci sono villaggi a cui Fujimori padre – durante il suo primo mandato – ha portato scuole, strade, acqua corrente. Ci sono persone a cui il regime di Fujimori ha regalato un posto di lavoro, o a cui ha distribuito cibo, vestiti, grembiuli per la scuola dei bambini. Il clientelismo in Peru è dilagante: molti votano per il candidato che promette di regalare qualcosa. Chi non ha niente, si fa comprare con poco. Nelle passate elezioni bastava qualche cassa di birra, un sacco di farina o di zucchero, una scatola di fiammiferi con dentro nascosti 10 soles (circa 3 euro). “Nelle comunità indigene, se qualcuno ti fa un regalo, lo devi ricompensare” racconta un volontario dell’organizzazione “Transparencia” che si occupa di monitoraggio elettorale. E la ricompensa è il voto.
Di regali, Keiko ne ha fatti molti. Tutti concordano che Keiko Fujimori è la candidata che ha speso più soldi in questa campagna, concentrando gli sforzi proprio nelle comunità rurali. Enormi manifesti, il suo simbolo dipinto sui muri delle case, t-shirt arancioni e cappellini con la K di Keiko regalati ovunque. E poi spot infiniti in radio e tv, con una colonna sonora ritmata facile da ricordare: “Keiko va, va, va. Sempre più forte, sempre più vicina alla gente”. Ma il suo sorriso di plastica non è molto credibile. I peruviani giurano che – se sarà eletta – farà uscire il padre dal carcere come primo atto della sua presidenza.
Dove ha preso – Keiko Fujimori – i soldi per la sua campagna elettorale? Diversi analisti sostengono che si tratta ancora dei soldi rubati dal padre. Altri sospettano che nella campagna di Keiko ci sia una buona iniezione di proventi del narcotraffico. Il Perù è uno dei maggiori paesi produttori di cocaina al mondo. Si parla addirittura di un “narcostato”, dove gran parte dei politici sono talmente legati ai narcotrafficanti da essere quasi un corpo unico.
La stampa peruviana in queste settimane ha prodotto alcuni elenchi di “narco-candidati” al Congresso: persone semi-sconosciute che improvvisamente si ritrovano con una enorme quantità di denaro da spendere nella loro campagna elettorale. Senza nessun merito e nessuna esperienza politica promettono ai peruviani di risolvere – dall’oggi al domani – tutti i loro problemi. “Creeremo 4 milioni di posti di lavoro”, “sanità gratis per tutti”, “raddoppieremo il salario agli insegnanti”.
Ma i peruviani sono così disgustati da questa classe politica che non vogliono neppure ascoltare. Vanno a votare solo perché il voto è obbligatorio. Se non ci fosse una multa, molti resterebbero volentieri a casa. La rabbia è forte in particolare contro il Tribunale elettorale nazionale, che a marzo ha escluso il candidato Julio Guzman per una irregolarità amministrativa, mentre ha mantenuto in corsa Keiko Fujimori nonostante avesse regalato soldi agli elettori. Guzman, volto nuovo della politica e abile oratore, figurava secondo nei sondaggi. Ora ha presentato ricorso alla Corte interamericana per i diritti umani e rischia di vincerlo. Quando ormai sarà troppo tardi.
Ma quali sono adesso le alternative a Keiko Fujimori? Sono 3 gli sfidanti che si contendono il passaggio al secondo turno contro “la china”:
- Pedro Pablo Kuczynski, un ex ministro con fama di economista competente. Secondo i suoi estimatori, è il più preparato e l’unico in grado di risollevare il paese. Secondo i suoi detrattori, è implicato in maneggi con i grandi progetti minerari e di estrazione del gas e comunque è troppo vecchio per l’incarico di presidente (ha 77 anni e una salute malferma). Pochi giorni fa si è saputo che il suo nome è figura nei Panama Files, come quello di Keiko.
- Alfredo Barnechea, 63 anni, ex giornalista, intellettuale, politico che ha attraversato vari schieramenti. Ora corre per Accion Popular con un programma di centro-sinistra. Ad alcuni piace perché guarda alla gente ma non è un estremista. Altri criticano la sua superbia e la mancanza di empatia con le persone.
- Veronika Mendoza, 35 anni, candidata del Fente Amplio, un partito di sinistra che si ispira al partito di Pepe Mujica in Uruguay. Veronika chiede maggiore uguaglianza sociale, la fine dei grandi potentati economici, una seria lotta contro la corruzione, la difesa dell’ambiente, la diversificazione dell’economia peruviana, che ora dipende troppo dalle miniere e dall’estrazione del gas.
Se Veronika riuscisse a passare al secondo turno, ci sarebbero due donne a contendersi la presidenza del Perù: una prima assoluta per il paese. Veronika, detta “Vero”, dai suoi, è giovane, preparata, decisa. Un volto fresco che spicca fra i vecchi dinosauri della politica peruviana. Ma per molti peruviani Veronika è troppo “rossa”: la accusano di simpatie per il Venezuela di Chavez, simpatie che però lei nega.
Se il volto di Keiko è dappertutto, quello di Veronika si vede raramente, perché il suo partito non ha un soldo per pagare spot e annunci televisivi. Dunque lo sforzo è tutto nel passaparola, nella campagna porta a porta, nelle visite ai villaggi e alle comunità campesine. Veronika è l’unica candidata che parla quechua, la lingua indigena ei peruviani più poveri. Nonostante questo, non è una di loro: “La voto, sperando che non ci tradisca come tutti bianchi hanno fatto finora” diceva una campesina intervistata da una radio locale.
“Voto Veronika perché è una donna” diceva un’altra elettrice. “Ma anche Keiko è una donna” ribatteva il giornalista. “No, Keiko non è una donna: è suo padre”. Tutti i peruviani ricordano la giovane Fujimori a fianco del presidente come primera dama, quando la moglie del presidente cadde in disgrazia . “Non poteva non sapere della corruzione e delle violazioni dei diritti umani” dicono.
La sfida contro Keiko – e contro tutto il denaro che ha riversato nella campagna elettorale – ora l’hanno raccolta le giovani donne che il 5 aprile hanno sfilato per le vie di Lima e di Cusco esponendo il disegno di un utero sulle gambe nude. Si rivolgono a lei quando gridano “Siamo le figlie delle contadine che non sei riuscita a sterilizzare. E non dimentichiamo”.