La violenta repressione delle proteste dopo il colpo di stato militare in Birmania è stata seguita molto attentamente in Francia. Il presidente Macron si era persino rivolto direttamente ai manifestanti scrivendo “siamo al vostro fianco”. Ma tra la posizione ufficiale dello stato e quella della più grande azienda francese, che in Myanmar fa soldi a palate, c’è un abisso. Il gruppo petrolifero Total, infatti, rifiuta categoricamente di sospendere le sue attività nel paese, nonostante le richieste.
Gli oppositori alla giunta militare accusano diverse aziende straniere, tra cui il gruppo francese, di finanziare i militari e, quindi, la repressione. Un’accusa che l’amministratore delegato di Total, Patrick Pouyanné, si è preoccupato di negare in una tribuna. Dove propone tra l’altro di riversare a delle Ong per i diritti umani le tasse che il gruppo dovrebbe allo stato birmano.
Peccato che un’inchiesta pubblicata oggi da Le Monde riveli che non è solo una questione di tasse. Documenti alla mano, il quotidiano francese spiega che il colosso dell’energia versa da decenni milioni di dollari direttamente nelle tasche dei generali birmani utilizzando dei conti off shore, ottenendo in cambio delle agevolazioni fiscali che gli garantiscono dei profitti particolarmente succosi.
Tutto ruota intorno al gasdotto sottomarino che collega il giacimento di Yadana alla Tailandia, che Total sfrutta con americani e tailandesi dal 92. L’accordo sul progetto di gasdotto, firmato nel 94, ha creato un sistema finanziario complesso, che permette di versare i soldi ottenuti dalla vendita del gas a un’azienda pubblica direttamente controllata dai militari, la Myanmar Oil and Gas Enterprise, o Moge.
Come funziona? I proprietari del gasdotto e del giacimento sono gli stessi. Ma per l’uso del gasdotto vengono fatturati dei costi molto alti, che sono poi dedotti dai profitti del giacimento. In questo modo le tasse sulla vendita del gas sono ridotte al minimo. Contemporaneamente, i benefici ottenuti dal trasporto del gas finiscono alle Bermuda, da dove vengono riversati come dividendi non tassabili agli azionisti. Cioè tra gli altri a Total e alla Moge. Secondo i bilanci di Total del 2020, l’azienda ha versato il triplo o il quadruplo alla Moge rispetto a quanto abbia pagato in tasse alla Birmania. Soldi non tracciabili, spariti nei bilanci sotto l’ambigua voce “altri conti” e che ad esempio, nel 2013, superavano il miliardo e quattrocento mila dollari. Lo stesso anno la Birmania destinava 750 milioni alla sanità e poco più di un miliardo di dollari all’istruzione. L’inchiesta di Le Monde rivela anche le pressioni che subiscono i lavoratori birmani della Total da parte dei loro superiori per non scioperare o partecipare alle proteste. Dipingendo un ritratto ben poco lusinghiero di quella che cerca di riciclarsi come un’azienda responsabile ma che, in nome del profitto, finanzia da decenni una dittatura.
Foto | Le proteste a Yangon, in Birmania