Arturo Varvelli, ricercatore dell’Ispi, è esperto di Libia. Gli abbiamo fatto tre domande per capire se l’Italia interverrà in Libia.
E’ certo che l’Italia prenda parte a un’operazione militare contro l’Is in Libia?
“Non è scontato. Lo sarebbe solo se ci fosse la richiesta ufficiale di un nuovo governo libico, come per altro stabilito dall’Onu nello scorso dicembre. Fino a quando non ci sarà un esecutivo di unità nazionale e fino a quando questo esecutivo non chiederà l’intervento di una coalizione internazionale, l’Italia non si muoverà. L’obiettivo è quello di aiutare a stabilizzare la situazione politica in Libia, formare un nuovo governo e dargli poi gli strumenti per combattere da solo l’Is”.
Le truppe speciali americane, francesi e britanniche sono già sul terreno. E quelle italiane?
“Non è detto che non ci siano già anche truppe italiane sul terreno. Io credo che stiano già operando, ma probabilmente lo fanno con un maggiore discrezione rispetto agli altri. Gli americani sono coinvolti, hanno bombardato. Lo sono anche i francesi, nonostante non l’abbiamo mai dichiarato. Come sono della partita anche gli egiziani, che hanno compiuto dei raid aerei. L’intensità di queste azioni non porterà a grandi cambiamenti dei rapporti di forza in Libia. Se invece ci sarà un’escalation bellica, è possibile che tutte le formazioni jihadiste si compattino attorno all’Is. Il Califfato ora dispone di circa 5.000 soldati. Con gli altri gruppi, le forze dovrebbero raddoppiare. Siamo ancora una fase delicata. Anche a causa del ritardo della formazione del nuovo governo libico”.
Perché gli americani vogliono che sia l’Italia a guidare la spedizione militare contro l’Is in Libia?
“L’Italia ha sempre rivendicato un ruolo di primo piano. Questo significa prendersi gli oneri e gli onori dell’operazione. Se ci sarà una missione militare di aiuto al nuovo esecutivo libico, qualcuno dovrà coordinarla e metterci la faccia dal punto di vista politico. Roma si è sempre detta disposta a farlo. Gli Usa non vogliono svolgere questo ruolo. E chiedono che sia l’Italia a farlo”.