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Eurovision 2024, Malmö diventa l’epicentro delle proteste contro i massacri a Gaza

Eurovision 2024

A Malmö, in Svezia, è in svolgimento dal 7 maggio, per concludersi sabato 11 maggio, l’Eurovision Song Contest, manifestazione canora itinerante (nel 2022 si è per esempio svolta a Torino) nata nel 1956 all’insegna del dialogo fra i popoli in un continente che era stato lacerato dalla seconda guerra mondiale: originariamente ispirato al Festival di Sanremo, e organizzato dall’European Broadcasting Union, l’Unione europea di radiodiffusione, l’Eurovision si è da allora svolto ogni anno – salvo causa pandemia nel 2020 – e si è consolidato come un evento televisivo importante – lo scorso anno è stato seguito da 162 milioni di spettatori in 38 paesi – sia per le carriere degli artisti che vi partecipano che per l’immagine dei paesi che vi sono rappresentati.

Le partecipazioni non sono esclusivamente europee; i paesi devono essere membri dell’European Broadcasting Union, alla quale possono aderire anche paesi geograficamente non europei: fra i paesi dell’Eurovision 2024 figurano per esempio la lontanissima da noi Australia, e Israele, vicino ma appartenente all’Asia occidentale. Proprio quest’ultima partecipazione, dall’inizio nell’ottobre scorso dell’attacco israeliano a Gaza con il massacro di decine di migliaia di palestinesi, ha suscitato grandi polemiche, con la richiesta da molte parti di escludere Israele: un appello in questo senso è stato per esempio firmato in gennaio da 2400 artisti finlandesi e svedesi.

L’Eurovision tiene a proporsi come manifestazione rigorosamente di intrattenimento e apolitica: tuttavia dal 2022 la Russia è stata esclusa per l’invasione dell’Ucraina, mentre Israele quest’anno è stata mantenuta in gara. L’apoliticità dell’evento prevede che le canzoni non debbano avere contenuti considerati politici: proprio la cantante che rappresenta Israele, Eden Golan, non ha potuto partecipare con la canzone originariamente prevista, perché fin dal titolo, October Rain, poteva evocare l’attacco di Hamas del 7 ottobre.

In questa edizione l’approccio apolitico dell’Eurovision si focalizza soprattutto sull’evitare che vengano sventolate bandiere diverse da quelle dei paesi partecipanti, e la preoccupazione ovviamente è per le bandiere della Palestina. Vedremo cosa succederà questa sera, quando si esibirà Eden Golan, che è a Malmö fra strettissime misure di sicurezza, con tanto di arrivo del capo dello Shin Bet per coordinarle. Ieri, al termine delle prove della cantante israeliana, dal pubblico sono partiti fischi e urla e lo slogan “free Palestine”, con gli addetti alla sicurezza – riferiscono i cronisti – che hanno inutilmente invitato al silenzio. Intanto una sala da concerti di Malmö, Plan B ha organizzato per sabato sera un controfestival, che invece di Eurovision – considerato dai promotori complice di genocidio per aver consentito a Israele di partecipare – si chiama FalastinVision!

Proprio dalla Svezia arriva poi una nuova iniziativa musicale per Gaza, la canzone We Carry All The Children, interpretata da un nutrito gruppo di artisti svedesi sotto il nome collettivo “Cantanti in solidarietà con la Palestina”. Il lancio della canzone è stato accompagnato da un comunicato stampa che dice fra l’altro che nella carneficina di Gaza per gli operatori sanitari è diventata “insopportabilmente comune” la constatazione “bambini ferito, nessuna famiglia sopravvissuta”, a cui adesso corrisponde anche un acronimo; “bambini”, continua il comunicato degli artisti, “che hanno perso gambe e braccia e che vengono operati senza anestesia”. Tutti i proventi sono destinati all’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite che assiste i rifugiati palestinesi.

  • Autore articolo
    Marcello Lorrai
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    Due artisti di teatro si trovano a vivere in un’Italia nuova, in cui non c’è più spazio per i loro spettacolini di sinistra. La storica egemonia culturale è terminata. Purtroppo, non sanno fare nient’altro che spettacoli di teatro. Non c’è via di scampo: devono diventare artisti di destra. Anche perché, se a sinistra lo spazio è poco -sempre meno- e molta la concorrenza, a destra ci sono praterie. C’è lo spazio per una nuova classe dirigente. Per una nuova egemonia, tutta da costruire, della quale essere protagonisti. Il problema è che loro, la destra, non la conoscono bene. Cercano allora di capire come si faccia, uno spettacolo così. Si domandano cosa sia, la destra, che confini abbia. Studiano, si informano, immaginano, fantasticano. Ci provano. Poi cominciano, così: "Hanno vinto loro. E ora dobbiamo obbedire. Spazi, case, televisioni e piazze hanno i loro colori. E noi, sempre più sbiaditi. Se non puoi batterli, e non possiamo, unisciti a loro. Loro sono la maggioranza. E forse un motivo c’è. Nel mondo della cultura c’è bisogno di una nuova classe dirigente. E noi siamo pronti. Dove c’è discordia, porteremo armonia. Dove c’è errore, porteremo verità. Dove c’è dubbio, porteremo fede. Dove c’è angoscia, porteremo speranza. Questo è uno spettacolo di destra. Siamo Nicola e Niccolò e siamo pronti a rinnegare tutto, siamo pronti a salire sul carro dei vincitori. E non faremo prigionieri." Oggi a Cult Ira Rubini ha ospitato Niccolò Fettarappa per parlare dello spettacolo, realizzato insieme a Nicola Borghesi, che debutta proprio oggi all'Arena del Sole di Bologna.

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    «Dal decennio populista al nazionalcapitalismo». Lo scienziato politico Mattia Diletti, dell’università La Sapienza di Roma, ne ha parlato a Pubblica. Negli anni ‘10 in occidente maturano movimenti e leader politici che si fanno portatori dell’insoddisfazione delle classi medie e di quelle più povere della società. Sono le conseguenze della crisi del 2007-2008, e dell’impoverimento crescente. In Europa è il lascito delle politiche di austerità. I leader populisti promettono cambiamenti radicali in nome del popolo, l’affossamento delle elite. Si dicono anti-sistema. Negli anni ‘20 prende corpo l’ideologia nazionalcapitalista (organizzazione capitalista, nazione, interesse nazionale, promessa di restituzione di benefici materiali e immateriali andati perduti). Finirà per alimentare il consenso verso gli esponenti attuali del sovranismo di destra più estremo.

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