«I numeri non sono buoni», ha detto ieri pomeriggio ai microfoni di Rp un senatore intervistato fuori dall’Aula, e non si capiva se parlava di quello che stava succedendo a Palazzo Madama o dei morti di Covid, a cui aveva fatto riferimento poco prima.
È così, in questa frase, che si sono involontariamente intrecciate la tragedia e la farsa che l’Italia sta vivendo in questi giorni: da una parte l’orrore indicibile dei tre-quattromila morti a settimana, che ormai va avanti costante dall’inizio di novembre, e dll’altra parte la commedia dell’arte in scena nei palazzi, con tutta l’improvvisazione, le maschere le arlecchinate tipiche di questo genere teatrale.
Alla fine Conte ce l’ha fatta, 156 voti compresi i due ritardatari prima esclusi poi riammessi al voto grazie a un video che testimoniava il loro ingresso in aula prima che Casellati dichiarasse chiusa la votazione: praticamente il Var entrato a Palazzo Madama, per rendere ancora più grottesca la situazione.
Conte ce l’ha fatta e ora ha due o tre settimane di tempo per “consolidare” la maggioranza, come dicono i suoi, cioè per trovare altri sostenitori in Senato: è inutile prendersi in giro, un esecutivo che si regge su 156 voti compresi quelli dei senatori a vita, che in Aula non vanno mai, è più a rischio di un gatto sull’autostrada.
Nel frattempo, pur di allontanare lo spettro della destra estrema al potere, dobbiamo berci questa sbobba qui: un esecutivo che sopravvive grazie alla gente più assurda, un’ex missina come la Polverini, un forzista che aveva già cambiato partito cinque volte, fino al caso limite di Maria Rosaria Rossi, detta per anni “la badante di Berlusconi”, perché nessuno poteva più parlare con il Cavaliere senza passare attraverso di lei: nell’estate del 2013 lo aveva portato in una villa di Tor Crescenza, vicino a Roma, in un isolamento che a un certo punto convinse la famiglia a buttarla fuori dalla corte, e lei adesso si vendica così.
È questo il governo che è nato ieri, o meglio che è sopravvissuto alla furia distruttrice di Renzi, e ancora una volta a sinistra ci diciamo “va beh, meglio così che Salvini”, e certo, non c’è dubbio, meglio così che Salvini e Meloni, ma resta in mente non solo la fragilissima precarietà di questo governo ma anche o soprattutto la rabbia di tanti anni, troppi anni, in cui a sinistra la mancanza di una rappresentanza politica decente, con degli ideali, con una visione decisa di cambiamento sociale, costringe gli elettori a trangugiare una minestra scadente, a consolarsi sempre nel solito modo, “meglio così che il peggio”, “piuttosto che niente meglio piuttosto”.