Oggi l’esercito israeliano ha fatto sapere che non verrà aperta un’indagine sulla morte di Shireen Abu Akleh, la giornalista di Al Jazeera uccisa mercoledì scorso mentre stava seguendo un’operazione dell’esercito israeliano nel campo profughi di Jenin, nella Cisgiordania settentrionale.
In un comunicato pubblicato dal giornale israeliano Jerusalem Post, la Polizia Militare – cioè l’organo dell’esercito che si occupa di presunti reati compiuti dai militari – spiega che la decisione si deve al fatto che per legge la morte di un palestinese avvenuta nel corso di un’operazione militare non richiede l’apertura di un’inchiesta a meno che non ci sia il sospetto che sia stato compiuto un reato: e secondo l’esercito israeliano in questo caso non ci sarebbero indizi di questo tipo.
Secondo quanto riporta Haaretz, altro giornale israeliano ma più vicino alla sinistra del paese, la polizia militare avrebbe considerato sufficiente la garanzia fornita dall’esercito del fatto che al momento della morte della giornalista, le truppe israeliane non erano al corrente della presenza di Abu Akleh nelle vicinanze del campo profughi, e quindi ha ritenuto non fosse necessario avviare un indagine. Secondo Haaretz, però, la polizia avrebbe preso questa decisione perché temeva che un indagine su militari israeliani potesse creare spaccature all’interno della società israeliana.
Qualunque sia la motivazione, o la scusa, per cui Israele sceglie di non investigare sulla morte di una giornalista che al momento della morte indossava elmetto e giubbotto antiproiettile con la scritta “PRESS” ben evidente, e che secondo i testimoni è stata colpita da cecchini dell’esercito israeliano, non è tanto importante. Quello che conta è che, ancora una volta, si riconferma ciò che è ormai chiaro da anni: l’impunità dell’esercito israeliano.
Non che la cosa stupisca. Dopo la morte della giornalista, l’esercito ha – nell’ordine: fatto irruzione nella casa della famiglia di Abu Akleh, minacciato il fratello e attaccato violentemente la processione funebre che portava il corpo della giornalista dalla chiesa al cimitero. Dopo la sua uccisione, gli appelli internazionali per un’indagine si sono affollati, per poi scemare velocemente verso il silenzio.
La famiglia di Shireen Abu Akleh continua a chiedere un’inchiesta trasparente, condotta da terzi, e gli Stati Uniti stessi ne avevano promessa una, considerando che Shireen è anche una cittadina americana. Ma per ora niente sembra muoversi.
L’impunità dell’esercito israeliano è un dato di fatto: secondo l’ONG israeliana per i diritti umani Yesh Din, solo lo 0,7% delle denunce palestinesi ha portato a indagini, mentre l’80% è stata chiusa senza nessuna investigazione.
L’effetto di questo, è chiaro: i militari israeliani non hanno nessun motivo per temere ripercussioni per le loro azioni. Nemmeno quando uccidono una giornalista conosciuta in tutto il mondo.