Sei mesi fa i talebani erano alle porte di Kabul e in poche ore avrebbero ripreso definitivamente il controllo dell’Afghanistan. Due settimane dopo, l’ultimo militare degli Stati Uniti lasciava il Paese e con lui finiva definitivamente l’occupazione durata 20 anni e da quel momento l’Afghanistan è scivolato sempre più velocemente verso una crisi politica, sociale ed economica che ora è arrivata ad un punto di non ritorno.
I finanziamenti internazionali all’Afghanistan sono stati sospesi e miliardi di dollari di beni del Paese che erano depositati all’estero, principalmente negli Stati Uniti, sono stati congelati. In particolare, nel sistema bancario statunitense sono stati congelati 7 miliardi di dollari di fondi afghani. Per essere chiari, soldi della Banca Centrale afghana depositati negli Stati Uniti dall’ex governo afghano.
Ora il presidente Biden ha annunciato che di questi 7 miliardi, la metà – 3,5 miliardi – verranno ridistribuiti tra le famiglie – americane – delle vittime dell’11 settembre, per aiutarle nei procedimenti legali.
Questa decisione è l’ennesimo schiaffo che il popolo afghano riceve dagli Stati Uniti.
La questione è sempre la stessa: l’occidente, con il ritorno dei talebani, si è trovato scisso tra la necessità di aiutare il popolo afghano e il tentativo di evitare che i soldi finissero nelle mani dei talebani. Ma in questi sei mesi l’amministrazione USA ha fatto ben poco per colpire i talebani, mentre gli unici che continuano a subire le ripercussioni Usa sono gli Afghani. Quest’ultima azione ne è la prova emblematica.
Alcuni attivisti afghani hanno pubblicato una lettera aperta in cui chiedono a Joe Biden di non privarli della metà dei loro fondi: “Condividiamo il dolore lasciato dall’11 settembre e dalle vite perse, sia americane che afghane – si legge nella lettera – ma crediamo che la decisione presa dal Paese più potente al mondo sulle risorse del Paese più povero al mondo sia estremamente ingiusta”.
La lettera continua ricordando che durante i 20 anni di occupazione USA, il popolo afghano ha lavorato spalla a spalla con gli americani lottando tanto quanto loro contro il terrorismo. “Quei fondi appartengono al popolo afghano – si legge – non siamo noi i responsabili degli atti terroristici di Al Qaeda o dei talebani”.
Questo è un punto fondamentale. Quanti afghani erano su quegli aerei che nel 2001 hanno colpito le torri gemelle? Zero. Eppure a pagare sono loro. Biden, in questo contesto, si comporta esattamente come un Robin Hood al contrario, un ricco che tiene per sè i soldi dei più poveri.
In aggiunta a tutto questo l’altra metà dei fondi, gli altri 3,5 miliardi che Biden ha promesso al popolo afghano, potranno fare ben poco se prima l’amministrazione USA non abolirà le sanzioni che hanno paralizzato il sistema bancario afghano.
La situazione economica afghana è già tremendamente grave, e se gli Stati Uniti decidono di prendersi metà dei loro fondi, non può che peggiorare. Inoltre, come ha fatto notare John Sifton, direttore Asia di Human Rights Watch, “la decisione creerebbe un pericoloso precedente di l’accaparramento di ricchezze di un paese sovrano”.
La lettera degli attivisti afghani si conclude chiedendo a Biden di riconsiderare la sua decisione: “Appropriarsi dei soldi dal popolo afghano è la decisione più inappropriata che si possa prendere nei confronti di un paese che sta affrontando la peggiore crisi umanitaria nella sua storia. È la stretta di una mano ferita”.