“La maggior parte delle migliaia di morti in Libia a causa delle inondazioni poteva essere evitata”: l’Onu punta il dito contro la disorganizzazione legata all’instabilità politica che affligge il paese e gli abitanti di Derna, dove si temono oltre 20mila vittime dopo il passaggio dell’uragano Daniel, si sentono abbandonati dalla comunità internazionale. L’intervista a Enas Elmiziny, attivista libica e traduttrice raggiunta a Tobrouk, da dove tiene i contatti con amici e famigliari bloccati a Derna.
La situazione è ancora molto pericolosa. La strada che collega la parte est e la parte ovest della città è distrutta perché è dove c’erano le dighe che sono crollate. I residenti quindi sono bloccati e non possono andare da una parte all’altra, così come gli aiuti, che fanno fatica a raggiungere diverse zone della città anche a causa della macerie che bloccano le strade. Sono ancora sotto shock. La maggior parte della popolazione sta negli ospedali e nelle scuole. E L’elettricità è tornata solo poche ore fa, ma è ancora una situazione estremamente difficile.
Gli aiuti da fuori riescono a raggiungere le aree più colpite?
È molto difficile proprio per i danni subiti, quindi anche le squadre di soccorso fanno fatica a recuperare ciò che serve loro. Ora stanno cercando di creare una strada che permetta di collegare i due lati della città.
Cosa raccontano le persone con cui sei in contatto?
Sono veramente sotto shock. Hanno passato le notti cercando di saltare da un tetto all’altro, completamente al buio. E nell’oscurità sentivano solo la gente urlare, e piangere. Le persone veniva trascinate dentro il mare dall’acqua fuoriuscita dalle dighe. Sono veramente in una condizione mentale e psicologica orribile.
Le squadre di soccorso continuano a trovare cadaveri?
Si, tutti i giorni. Ma per fortuna trovano anche sopravvissuti. Proprio oggi hanno estratto dalle macerie una persona ancora viva! Il problema però è che i soccorritori professionisti sono pochissimi, la maggior parte sono volontari, non addestrati per affrontare una catastrofe di questa portata.
Come sta rispondendo il governo?
Fanno quello che possono, ma non siamo in grado. Non abbiamo abbastanza persone addestrate per questa situazione. Credo che il grosso lo facciano le squadre internazionali, soprattutto per quanto riguarda la ricerca e il recupero di sopravvissuti, ma sono comunque pochi. Abbiamo bisogno di più aiuto.
La Libia è teatro da anni di un conflitto. Che effetto ha sulla psiche delle persone quest’altra catastrofe dopo che la gente ha già sofferto così tanto?
Credo che questa sia proprio la ragione per cui non ci siamo preparati a sufficienza per questo uragano che sapevamo sarebbe arrivato. Leggevamo le notizie, ma la gente non si fida delle autorità. Nessuno ha lasciato la propria casa prima che arrivasse l’uragano né ha provato a mettersi in salvo preventivamente. La gente è già stanca. E’ stanca della guerra, è stanca di scappare.
Avete la percezione di essere lasciati a voi stessi? Che la Libia, qualunque cosa succeda, non fa i titoli dei giornali?
Si. Purtroppo si. Ci siamo sentiti proprio così. Abbiamo passato due giorni a piangere e gridare chiedendo aiuto. Ma non abbiamo ricevuto nessuna attenzione internazionale. All’inizio nessuno ci ha aiutati. Solo in queste ultime ore abbiamo iniziato a ricevere attenzione dall’estero. Quindi si, ci siamo sentiti lasciati soli.