Dopo solo 4 anni la giunta di Beppe Sala decide di rinnovare il suo PGT (il piano di governo del territorio), d’altronde tra pandemia, guerre e soprattutto impazzimento dei prezzi delle materie prime e inflazione conseguente o ben spremuta dalle imprese c’è bisogno di ridefinire gli orizzonti della città. O meglio quelli dell’investimento immobiliare. Lo spieghiamo con un dato di Banca d’Italia di pochi giorni fa: mentre l’economia tutta rallentava nel 2022 Milano registrava quasi la metà della raccolta nazionale di investimenti immobiliari da parte di banche, assicurazioni e fondi internazionali per 5,3 miliardi di euro. Mentre i settori trainanti della città erano gli alloggi e la ristorazione che sempre nel 2022 segnano un +17% di crescita. La città dell’investimento immobiliare e del turismo ha ridato a Milano lo status di città che cresce e che attira capitali e consumatori facoltosi perduto durante la pandemia. Il modello Milano, per molti suoi sostenitori e detrattori, insomma è tornato.
Segnali di crisi
Solo che i segnali cominciano a essere complicati dalla congiuntura sempre più scivolosa e così nei primi sei mesi del 2023 gli investimenti immobiliari sono “calati” a poco più di 700 milioni di euro (sempre Bankitalia), le richieste dei mutui si sono dimezzate, le compravendite di case diminuite del 10%. I prezzi no, però. Come mai? Forse perché a Milano il mercato ha coinvolto tutti i quartieri della città in una bolla di valore sempre crescente oppure perché come sostiene il sito Bloomberg oltre 1300 supermanager si sono trasferiti in città negli ultimi 4 anni per godere della flat tax al 10% per i nuovi residenti ricchi, fatto sta che prezzi di affitti e vendite non scendono mai. Sempre meno che a Francoforte o Amsterdam, dice sempre Bankitalia, dove negli ultimi anni si concentra la maggiore crescita dei valori immobiliari d’Europa, ma crescono. La conseguenza ormai è una litania nota: gli autisti Atm si licenziano perché i loro salari non bastano per vivere in città, i giovani neoassunti devono fare cordate per non sprecare l’80% del loro primo stipendio in affitto e così via. Il limite considerato massimo del 30% del salario da spendere nella casa, per non trovarsi poveri, a Milano è abbondantemente superato anche per quella che si chiamava un tempo piccola borghesia. Per le famiglie meno abbienti non c’è nemmeno la possibilità di immaginarla una casa.
Le proposte
Nei giorni scorsi il Pd ha illustrato in un convegno la sua proposta per uscire dall’impasse: “un patto tra costruttori, produttori, istituzioni e banche per riprodurre nelle nostre città quel patrimonio di decine di migliaia di alloggi a prezzo calmierato, abbordabili per i lavoratori”. Il Comune o meglio la giunta nella persona del suo assessore alla Rigenerazione urbana (ex urbanistica) Giancarlo Tancredi ha avanzato ai nostri microfoni e poi nel forum dedicato al futuro della città la sua proposta (che potete sentire nell’intervista completa qua sotto) e che possiamo tradurre in 20mila alloggi in dieci anni alle Nuove Porte di Milano, nelle aree dei parcheggi di interscambio ferrovia-tangenziali come Bisceglie, Molino Dorino, Rogoredo, Cascina Gobba e così via. L’assessore parla di “densificazione” e di portare funzioni urbane e nomina come principali interlocutori del progetto “le cooperative”. Il tutto delinea la nascita di nuovi quartieri o nuove periferie, di costruito simil-popolare; per fare una citazione suggestiva come nuove Niguarda, costruita in maggioranza così.
Come cambia il Pgt
I principali punti di revisione del Pgt proposti dall’assessore riguardano la certezza delle regole per gli investitori (forse si allude alle tante discussioni e polemiche su vincoli, storico-patrimoniali o ambientali, ricorsi o anche semplicemente comitati che si oppongono), un piano d’area per ogni quartiere interno alla città sui temi dello spazio pubblico e della rigenerazione (per superare forse la frammentazione dei “piani i quartieri” dello scorso mandato) e poi la relazione con la città metropolitana declinata col suggestivo piano delle Nuove porte di Milano. Il tutto delinea un piano e dei bisogni, quali? Lo abbiamo chiesto invece a un docente di grande esperienza e lucidità, Gabriele Pasqui del Politecnico di Milano, quali sono le sue riflessioni sui cambiamenti del Pgt e le sue risposte le potete ascoltare nella seguente intervista.
Suolo e diritti
Oltre alle molte richieste di chiarimento del Professor Pasqui per poter leggere chiaramente le proposte della giunta di Milano, sono tre le fondamentali critiche del professore di Politiche urbane del Politecnico all’assessore: la prima (che non avete ascoltato) è la qualità di un dibattito bassa, poco chiara e che polarizza le posizioni invece di spiegare e confrontarsi sulla posta in gioco; le altre due le trovate nella intervista e sono: 1) basta consumo di suolo comunque: la rigenerazione si faccia sul costruito e sulle aree già impegnate, perché siamo oltre la soglia del tollerabile; 2) tornare a costruire case popolari e affrontare il nodo gigantesco del costruito pubblico anche se è difficile, perché necessita di una alleanza politica con lo Stato e la Regione e di un progetto. Noi aggiungiamo – non ce ne voglia il professore – anche di una volontà politica. Il piano, infatti, se di un piano si tratta, sembra rivolgersi più al mercato, agli operatori del settore e agli investitori che ai cittadini. Al limite prova a coinvolgere anche le cooperative di costruzione, finora emarginate, perché si rende conto che non può fare costruire edilizia sociale o convenzionata ai prezzi di Coima o di Hines (si vedano nostri articoli sugli studentati nel villaggio olimpico di Porta Romana). Usano le cooperative come calmiere. Ma la volontà politica di dare casa e regolare il mercato non si vede all’orizzonte.
Nota finale
Viviamo un’epoca in cui “i poveri” sono sempre gli altri: i migranti, gli stranieri, i divanati, quelli del reddito di cittadinanza, i fannulloni e così via… (è appena uscito un libro molto interessante di Roberto Ciccarelli che si intitola “L’odio dei poveri”). Sembra quasi si cerchi di rimuovere o esorcizzare l’impoverimento generalizzato della classe media italiana, l’aumento delle disuguaglianze, la presenza stabile di milioni di working poor, come ha fatto il Cnel negando la necessità di un salario minimo. Eppure casa e lavoro sono sempre state l’equazione per misurare il benessere dei più e la forza propulsiva della classe media. L’equazione oggi quale è?
FOTO| Google Earth