In un bar di Certosa, quartiere operaio che ha ancora l’orgoglio di esserlo, nel pomeriggio in cui un ponte di cemento armato di un chilometro era caduto sopra le teste delle persone del quartiere trascinando con sé decine di automobili, camion e altri mezzi, si discuteva dell’opportunità di raccogliere fondi per aiutare le vittime e le loro famiglie.
“È il caso che lo facciamo?” chiede un ragazzo con i pantaloni mimetici “non sembra che vogliamo farci vedere?”
Negli stessi minuti, il ministro dell’Interno twittava per dire che “in una giornata così triste, la notizia positiva” era che i migranti a bordo della nave Aquarius erano sbarcati a Malta e non arriveranno in Italia.
Due tronconi, due nastri d’asfalto sorretti da piloni dalle architetture ardite ma fragili, separati dal vuoto e dalle macerie. La fotografia di quel che resta del viadotto Morandi, a Genova, già vanto dell’ingegneria italiana del ‘900, è una metafora.
Le persone del quartiere sono solidali, nei piccoli gesti. “Ti accompagno io“, “hai sete, vuoi bere?“, “dove li mettiamo gli sfollati?“. Sono composte. Anche le parole della postina che racconta di avere visto il ponte cadere -“prima è venuta giù un’ambulanza, sembrava un incidente, poi è caduto tutto, un rumore enorme misto a quello dei tuoni e del temporale“- non hanno nessuna retorica. Dall’altra parte, invece, i politici del governo dicono cose tipo “i colpevoli pagheranno“, “voglio i nomi di chi è stato“, “devono farci sforare i vincoli europei“, “sembrerebbe che la manutenzione era stata fatta ma non può essere così“.
I social media impazziscono ma nel quartiere operaio sotto al ponte nessuno ci fa caso. In un circolo al cui ingresso campeggia una bandiera anarchica listata a lutto, tre pensionati sono seduti a fianco di un televisore acceso su una tv all news che trasmette le immagini del ponte. Nei sottopancia, le parole della polemica. L’audio è abbassato e nessuno guarda. “Cosa mangi stasera?” chiede uno al più anziano, preoccupato che si prenda cura di sé.
Le case popolari dove vivono i lavoratori del porto, quelli dell’Ilva e delle altre fabbriche convivono con il manufatto di cemento armato da 51 anni. Glielo hanno letteralmente costruito sopra. A uno degli edifici hanno dovuto tagliare via un pezzo di tetto perché il ponte altrimenti non ci stava e un pilastro si appoggia al palazzo. Adesso però il ponte è pericolante e 450 persone non potranno rientrare in casa. Chissà per quanto. “Ci ho fatto i lavori su quel tetto -dice un muratore, la maglietta piena di strappi e di polvere- ce lo hanno costruito addosso il ponte. I politici se ne fregano -si arrabbia- e ci lasciano soli, e poi ci sono questi qua” e indica alcuni immigrati che vivono nel quartiere. “Loro cosa c’entrano, mica è colpa loro se è caduto il ponte” gli risponde un ragazzo “è vero -dice il muratore- anche loro sono dei disgraziati che devono vivere. A noi però ci lasciano soli. Erano quattro anni che lavoravano là sopra, coi martelli pneumatici, cosa stavano facendo?”.
La domanda resta lì senza risposta, è il massimo della rabbia di chi era in casa e ha avuto paura di morire. “Ho sentito come un terremoto tanto era forte lo spostamento d’aria” dice un uomo che ha uno scorpione tatuato sul collo e che descrive quella nuvola grandissima di cemento che poi si è depositata a terra.
Il viadotto Marconi negli anni ’60 fu il simbolo dello sviluppo industriale di cui oggi rimangono gli imponenti serbatoi di petrolio aggrappati alla collina appena lì a fianco. Ora le macerie, cemento sbriciolato e pezzi di autostrada, sono talmente grandi che formano come degli enormi, nuovi edifici. Al centro del fiume, i resti afflosciati dei piloni. Sembrano le immagini dei ponti fatti saltare durante la guerra. Le persone guardano, scattano foto, telefonano, fanno video. “Speriamo ci sia qualcuno ancora vivo” mentre un vigile del fuoco si cala a terra sorretto da una fune trasportando una barella su cui, da lontano, si vede il bagliore d’oro delle coperte termiche.
All’ora dei Tg della sera arriva il presidente del Consiglio, in elicottero, dopo che per tutto il giorno avevano volato quelli dei soccorsi. Non c’è già più nessuno, sono tutti a casa. Sui media la polemica impazza. ‘È colpa del tuo partito che non ha messo i soldi‘. ‘No, del tuo che diceva che il ponte non sarebbe mai caduto e non voleva la nuova strada‘.
Del quartiere popolare, con quel che resta del ponte che se ne sta lì appoggiato alle case, nessuno parla.