La sposa è metaforica, quasi un simbolo della bellezza, dell’inarrivabile, di quello che manca nei luoghi in cui vivono gli invisibili. Qualcosa che sta sotto i riflettori, che tutti vedono e conoscono, ma non è possibile avvicinare. In Viva la sposa, l’ultimo film dell’attore, regista e drammaturgo Ascanio Celestini, le metafore vivono in mezzo alle storie dei protagonisti: Sabatino, Concellino, Salvatore, Sasà, Sofia e Nicola, un teatrante semi alcolizzato, interpretato dallo stesso Celestini.
Ambientato tra il Quadraro, Cinecittà e Ciampino il film si muove tra bar, discariche, locali abbandonati e strade percorse dal furgoncino malconcio in cui vive Nicola. Le donne di questa storia sono madri, prostitute, ragazze che sognano di andarsene, come Sofia (Alba Rohrwacher). Quando c’è da raccontare gli esclusi e i veri emarginati, non più solo della società ma anche e soprattutto dell’esposizione mediatica illusoria e crudele, Ascanio Celestini non si tira indietro: che siano i malati psichici di La pecora nera o i lavoratori interinali di Parole sante. E non manca in Viva la sposa un pensiero rivolto a tutti quei ragazzi come Giovanni Uva e Stefano Cucchi, con una scena importante e sentita girata in questura.
Ascolta l’intervista conversazione con Ascanio Celestini, ospite di Cult a Bookcity 15: