Navi negriere dipinte sul pavimento: non è una sua opera ma la riproduzione di un motivo presente e ricorrente nel suo lavoro.
Cotone, migrazioni, musica, tate, razzismo, come i bianchi vedevano i neri nell’America dei primi del Novecento.
Betye Saar, artista afroamericana nata a Los Angeles nel 1926, si laurea in arte e da subito unisce nelle sue installazioni elementi di spiritualità a riflessioni politiche che rimandano alle lotte per i diritti dei neri in America.
Molte sue opere sono assemblaggi custoditi in scatole o custodie di strumenti musicali, rappresentano una condizione di segregazione, ma anche di resistenza e sopravvivenza. I lavori includono tracce del folclore afroamericano, la musica e la quotidianità, combinando la dimensione politica a una visione spirituale che attinge a diverse tradizioni di origine africana, asiatica, americana ed europea.
Attraverso questi “memorabilia” personali e immagini dispregiative, personaggi in gabbia o impiccati, l’artista sviluppa una potente critica sociale e mette alla gogna stereotipi razziali e sessisti radicati nella cultura americana.
La mostra antologica aperta in questi giorni alla Fondazione Prada durerà fino all’8 gennaio ed è un viaggio nell’arte della “danzatrice incerta” come dice il titolo: ottanta opere tra installazioni, assemblages, collages e sculture creati tra il 1966 e il 2016. Come ha dichiarato l’artista , la sua arte “ha più a che fare con l’evoluzione che con la rivoluzione, con la trasformazione delle coscienze e del modo di vedere i neri, non più attraverso immagini caricaturali o negative, ma come esseri umani”.
Un percorso estremamente poetico che accompagna il visitatore dalla dimensione più intima a quella sociale e politica.
E’ la prima esposizione in Italia dell’artista afroamericana e noi l’abbiamo visitata con la curatrice Elvira Dyangani Ose.
Ascolta qui l’intervista