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Le omissioni della Lombardia sul focolaio di Alzano: il CTS non sapeva

Ospedale Alzano Lombardo focolaio di alzano

Ci sono due importanti novità nell’inchiesta per epidemia colposa che sta conducendo la Procura di Bergamo sul contagio nella bergamasca: la prima riguarda la Regione Lombardia e l’ospedale di Alzano Lombardo, la seconda il Governo e il piano pandemico.

Partiamo dalla prima. Dagli interrogatori fatti nei giorni scorsi a dirigenti e funzionari del ministero della Salute e dagli accertamenti fatti su quelli passati è emerso che a fine febbraio il Cts nazionale non sapeva che l’ospedale di Alzano fosse un focolaio. Possibile che la giunta Fontana non avesse fatto capire a Roma che la situazione ad Alzano era grave? Il dubbio, a Radio Popolare, ci era venuto il 2 marzo dopo l’intervista a Prisma all’allora assessore Gallera che ci aveva detto: “La strategia che abbiamo adottato più che fare una nuova zona rossa è isolare i positivi e i loro contatti”. Ammetteva che l’opzione zona rossa era già scartata. Non sembrava in quell’intervista qualcuno che stesse facendo pressione sul Governo per avere più restrizioni, anzi: “La strategia è un’altra” diceva. Era il 2 marzo.

Ci domandammo: ma la Regione Lombardia ha spiegato per bene al Governo e al Cts che la situazione all’ospedale di Alzano è grave? Persino peggio di Codogno in quell’ultima settimana di febbraio. A marzo poi il caso divenne nazionale, ma che cosa aveva raccontato su Alzano al governo nazionale la giunta lombarda tra il 23 febbraio e il primo marzo? Ora dagli interrogatori, e in particolare dal lavoro di ricostruzione fatto su quello al presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Silvio Brusaferro, emerge che il Cts non sapeva che l’ospedale di Alzano Lombardo fosse un focolaio.

Gli investigatori -riporta l’Eco di Bergamo- la spiegano così: al Cts venivano trasmessi dati numericamente esatti, ma privi di dettagli che avrebbero potuto mettere gli scienziati in allarme. Traduzione: nessuno dalla Lombardia alzò il telefono o inviò dati qualitativi, non solo quantitativi, per far capire a Roma che l’ospedale di Alzano era un cluster e la Val Seriana andava cinturata come Codogno. Sarebbe cambiato qualcosa se nell’ultima settimana di febbraio il Cts e il ministero della Salute avessero saputo che quei dati drammatici della Val Seriana avevano nell’ospedale di Alzano il possibile epicentro?

Su Alzano gli errori della Regione sono ormai acclarati, la storia è nota. Il 23 febbraio vengono rilevati i primi due positivi all’ospedale di Alzano, che poi moriranno in 48 ore. Il direttore medico dell’ospedale voleva chiudere la struttura, dalla Regione gli dissero di riaprire e l’ospedale riaprì con una sanificazione parziale e senza triage all’ingresso. La situazione andò avanti così per qualche giorno, poi arrivarono i tendoni all’ingresso. Lo conferma una lettera inviata dal direttore medico dell’ospedale di Alzano ai suoi superiori dell’Asst Bergamo Est che abbiamo potuto vedere e lo racconta una testimone che avevamo sentito a Radio Popolare a inizio aprile. I dirigenti in quota Lega che governavano la sanità bergamasca cosa facevano? Oggi sono indagati per epidemia colposa. L’ipotesi che la giunta lombarda abbia messo il silenziatore sul focolaio di Alzano perché raccontare la verità avrebbe significato fare la zona rossa ce l’abbiamo sempre avuta, e ce la teniamo ancora come ipotesi, come un sospetto, un qualcosa di inquietante che però ora con il lavoro della magistratura ha qualche elemento in più.

L’altra novità riguarda il piano pandemico. Non solo non è stato aggiornato ed è rimasto fermo al 2006, ma non è stato nemmeno attivato nonostante lo avesse esplicitamente indicato l’Oms con l’alert del 5 gennaio dell’anno scorso. Anche questo è venuto a galla dalle audizioni di una serie di dirigenti e tecnici del ministero della Salute che si sono tenute in Procura a Bergamo. Gli ultimi ad essere convocati come persone informate sui fatti dai pm che indagano sulla gestione dell’emergenza Covid nella Bergamasca sono stati un funzionario del ministero e Claudio D’Amario, ex direttore generale della Prevenzione.

  • Autore articolo
    Roberto Maggioni
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    Ore 5 del mattino. Un uomo di 37 anni, Eros di Ronza, insieme ad un complice forza la saracinesca di un bar al civico 35 di viale Cermenate, nel quartiere Stadera di Milano. Suona l’allarme, mentre il complice è fermo sul marciapiede a fare da palo arriva il titolare del bar insieme a un nipote. Abitano sopra al bar e sono stati svegliati dall’allarme. Mentre il ladro cerca di uscire dalla serranda il titolare, un 49 enne di origine cinese, lo colpisce una prima volta con una forbice. Poi altre 20 volte, lasciandolo a terra morto a pochi passi dalla saracinesca del bar. A terra resta anche la refurtiva: un pacco di gratta e vinci. La vittima, Eros di Ronza, aveva 37 anni, e l’ultima residenza nota era nella zona delle case popolari di San Siro. Aveva tre figli e precedenti per reati contro il patrimonio. Frequentava il giro dello spaccio sui Navigli, dove era già stato segnalato alla polizia. Una vita ai margini tra periferia, furti, espedienti.quotidiani. Ne abbiamo parlato con il sociologo Alfredo Alietti, autore del libro “Interruzioni: città, razzismo e politiche urbane”.

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