
Papa Francesco è in visita a Nairobi per il suo primo viaggio in Africa. La capitale keniota lo accoglie blindata: 25 mila agenti di polizia (la maggior parte di loro appartenenti a unità paramilitari), 3 mila caschi blu oltre, ovviamente, una schiera di agenti delle forze di sicurezza e di agenti della diplomazia vaticana e dell’intelligence di alcuni Paesi europei.
Si è fatto un gran parlare di rischio attentati ma il Papa, appenna atterrato, ha voluto sdrammatizzare: “Temo più le zanzare che gli attentati”, ha detto. In questa visita conteranno molto le parole del Papa, che saranno incentrate sulla pace. E proprio mentre Bergoglio parla dell’argomento, in Italia sono stati resi pubblici dati molti significativi su chi contribuisce ad alimentare le guerre africane. Un bisness da 4,8 miliardi di euro, tra il 2010 e il 2014, solo per quanto riguarda le esportazioni in Africa e Medio Oriente. Le prime dieci aziende italiane, tutte controllate almeno in parte da Finmeccanica, si sono aggiudicate l’83,8per cento del valore complessivo delle autorizzazioni. Un monopolio.
I dati sono della Cgia di Mestre e sono stati ricavati dalle relazioni annuali in cui governo è obbligato a riferire i dati al Parlamento. Sono comprese armi di vari tipo. L’elenco è inquietante: munizioni, bombe, siluri, missili, veicoli terrestri, agenti tossici, esplosivi e combustibili militari, navi da guerra, aerei, apparecchiature elettroniche e equipaggiamenti vari. Scorrerendo le guerre che hanno attraversato il continente negli ultimi mesi, emergerà che quasi tutte sono state combattute anche con armi italiane. Le prime dieci aziende che hanno goduto di questo business sono quelle che contribuiscono in buona misura al PIL e alla prevista, seppure modesta, crescita italiana. Agusta, Alenia, Aermacchi, Selex, Avio, Oto Melara, Piaggio, Beretta, Iveco, per citarne solo alcune. I settori più rappresentativi dell’attività di esportazione sono stati l’aeronautica, l’elicotteristica, l’elettronica per la difesa e i sistemi d’arma (missili, artiglierie).
Se il Papa invocherà la pace in questo viaggio africano – e certamente lo farà – forse dovrebbe rinnovare l’appello una volta che farà ritorno in Europa. Un luogo comune un po’ razzista dice che gli africani sanno solo farsi guerre. Ma gli europei, evidentemente, stanno ben nascosti dietro le quinte.