È cominciato domenica 23 ottobre a Cracovia e Varsavia il “Secondo round” – questo il nome ufficiale – della Black protest polacca, che proseguirà fino a domenica 30 ottobre. La protesta è iniziata a Varsavia, con circa duemila persone che si sono riunite sotto gli edifici della Camera bassa, il Sejm, per mostrare un simbolico cartellino rosso ai deputati.
A questa sono seguite mobilitazioni in 83 centri polacchi, e in altre 24 città del mondo, fra cui Roma, dove è stata organizzata una manifestazione lunedì 24. Temi e modalità degli eventi sono stati lasciati all’iniziativa locale: si va dalle manifestazioni di piazza, a proiezioni di film, punti informativi per l’apostasia, petizioni. A Varsavia delle “delegazioni nere”, piccoli gruppi di dimostranti, si recheranno alla sede di ogni gruppo in Parlamento per consegnare il manifesto della protesta.
A fare da collante fra la diversità delle proteste è lo slogan “Non abbiamo chiuso gli ombrelli”, scelto per ricordare la protesta del 3 ottobre, che si è svolta sotto una pioggia battente. I partecipanti alle manifestazioni di domenica a Varsavia e di lunedì a Cracovia sono stati invitati a vestirsi di scuro e a portare con sé un ombrello, nonostante il bel tempo. Lo stesso simbolo è stato scelto dalle donne sudamericane durante le proteste del 19 ottobre, organizzate in seguito al barbaro omicidio della 16enne Luisa Perez. Gli organizzatori della protesta argentina hanno espressamente richiamato l’esempio delle donne polacche.
Significato dello slogan è che, nonostante il governo abbia fatto marcia indietro sul disegno di legge per rendere illegale l’aborto a tre giorni dalla protesta, le donne polacche hanno ancora molto da dire. Le mobilitazioni di questa settimana non sono rivolte verso un diritto specifico ma richiamano questioni più ampie e complesse: in particolare si manifesta contro la violenza sulle donne – di qualunque tipo, anche verbale -, contro le ingerenze della Chiesa cattolica in politica, e infine contro la discussa riforma dell’istruzione che oltre a rivoluzionare il sistema scolastico, raddoppia le ore di studio della religione cattolica e modifica i contenuti del programma di studio in un senso che è stato definito “nazionalista e xenofobo” dal presidente dell’Unione nazionale insegnanti, Slawomir Broniarz.
Secondo Marta Lempart, ideatrice dello sciopero del 3 ottobre e dell’attuale protesta, la questione dell’aborto è solo secondaria in questa settimana di mobilitazione. “E’ ancora un timore presente – anche perché il giorno dopo il ritiro della proposta di legge contestata, è comparsa una seconda petizione dai contenuti molto simili. Ma ciò che ci spinge a protestare è soprattutto il linguaggio usato dai politici contro di noi nei giorni successivi alla protesta. Quell’atteggiamento di superiorità e disprezzo per le donne ha spinto a prendere parte alle manifestazioni anche chi non si era interessato della questione aborto”.