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Le devastanti conseguenze dell’ecocidio a Gaza

Ecocidio Gaza

Dopo il 7 ottobre, in Cisgiordania l’appropriazione delle risorse naturali palestinesi da parte di Israele a fini politici e militari e le violenze dei coloni sugli agricoltori palestinesi si sono intensificate, mentre a Gaza è in atto un “ecocidio”. Marianna Usuelli della redazione de Il giusto clima, ha raggiunto a Ramallah Abeer Al Butmeh, coordinatrice di Pengon, network di ONG palestinesi che si batte per la giustizia climatica a Gaza e in Palestina.

Che cos’è e che cosa fa il network palestinese di ONG ambientaliste Pengon e in che modo il 7 ottobre ha cambiato la situazione per il vostro lavoro e che impatto ha avuto sul vostro lavoro?

Il network palestinese Pengon riunisce 15 ONG che lavorano in West Bank e nella striscia di Gaza. Promuoviamo campagne di advocacy anche a livello internazionale e facciamo parte di “Friends of the Earth International”. Localmente lavoriamo su diversi filoni: il primo è la campagna per l’acqua, le terre e le risorse naturali, attraverso la quale documentiamo le violazioni di Israele sull’ambiente nei territori palestinesi occupati.
La seconda campagna è su energia e giustizia climatica, tramite la quale cerchiamo anche di promuovere le energie pulite in Palestina. Portiamo avanti un’azione di monitoraggio degli inquinanti dell’aria, del terreno e acqua e per questo abbiamo anche lanciato un numero verde per raccogliere segnalazioni ambientali da parte delle comunità palestinesi.

Attualmente noi abbiamo 5 organizzazioni e 5 membri nella striscia di Gaza. Tutti i nostri uffici hanno subito bombardamenti e i membri dello staff di Pengon sono sfollati verso il sud della striscia. Quindi ora ci stiamo focalizzando su lavori di emergenza a Gaza e tutti gli altri progetti sono bloccati.
Invece in West Bank le restrizioni nella mobilità tra le città imposte dall’autorità israeliana e le minacce poste dai coloni ci impediscono di portare avanti le nostre campagne e di supervisionare i nostri progetti quindi ci stiamo focalizzando sulle attività essenziali.

Mentre le persone a Gaza stanno morendo di fame o sotto i bombardamenti potrebbe sembrare quasi inappropriato parlare della questione ambientale, invece questa è connessa a doppio filo con l’occupazione israeliana e ha un impatto enorme e sottostimato sulla popolazione palestinese. Ci puoi raccontare in che modo si è manifestata già da prima del 7 ottobre l’ingiustizia climatica praticata dall’occupazione israeliana?

Esatto, in Palestina è già da prima del 7 ottobre che noi subiamo l’ingiustizia climatica sia a Gaza che in West Bank. I settori principali in cui si manifesta sono l’agricoltura e l’acqua.

L’85% delle risorse idriche palestinesi è controllato da Israele, che nega il diritto di accesso all’acqua ai palestinesi. La maggior parte degli agricoltori palestinesi non può accedere liberamente alle fonti d’acqua: delle 56 fonti di acqua dolce sotterranea presenti in Palestina, 46 sono controllate da Israele.

Poi c’è la questione dell’agricoltura. Il 64% dei terreni in Cisgiordania è classificato in area C secondo gli accordi di Oslo ed è sotto il controllo di Israele. La maggior parte delle aree agricole sono lì, con conseguenze enormi sull’agricoltura palestinese. Per esempio nell’ultima stagione di raccolto, a ottobre e novembre scorsi gli agricoltori palestinesi non potevano raggiungere i loro terreni perché gli israeliani hanno imposto dei check point e ci sono stati diversi casi di arresti ingiustificati di agricoltori che cercavano di raggiungere i loro terreni.

Nella parte nord della West Bank vicino a Nablus, un colono israeliano ha sparato a un agricoltore palestinese che aveva raggiunto il suo uliveto per il raccolto. La maggior parte degli agricoltori palestinesi non ha potuto fare il raccolto degli ulivi per via dell’inasprimento dell’occupazione di questi mesi, delle restrizioni sulla mobilità e delle minacce dei coloni.

Nel report che avete scritto a dicembre 2023, “Climate Justice in Palestine is a Human Right”, raccontate che l’occupazione israeliana prende di mira anche gli impianti di energia solare in West Bank.

In West Bank c’è la valle del Giordano dove diverse comunità sono soggette a continui tagli dell’elettricità da parte dell’autorità israeliana. Ecco perché la nostra rete di ONG si è focalizzata su quest’area per installare pannelli solari, ma diversi impianti sono stati danneggiati e smantellati dagli israeliani.

Negli anni scorsi anche a Gaza abbiamo portato avanti progetti di energia solare, anche perché la striscia di Gaza ha vissuto 17 anni di blocco da parte di Israele che non ha permesso l’entrata di sufficiente quantità di carburante per ospedali, trattamento delle acque reflue, impianti di desalinizzazione d’acqua. Purtroppo anche i progetti di energia solare a cui abbiamo lavorato in questi anni sono stati danneggiati e bombardati. Come Pengon stiamo lavorando a una valutazione dei danni causati, ma stiamo aspettando la fine dei bombardamenti per poterla effettuare, e speriamo avvenga presto.

Mentre il contesto in West Bank è caratterizzato da violazioni del diritto internazionale, accaparramento di terre e tutto quello che ci hai appena raccontato, la situazione nella striscia di Gaza è in tutto ciò ovviamente molto peggiore a causa dei continui bombardamenti. In che modo Israele usa le risorse naturali e dell’ambiente a Gaza per scopi politici e militari?

Sì esatto, se la situazione ambientale di Gaza era già catastrofica prima del 7 ottobre, ora sta vivendo un ecocidio perché sono sotto attacco tutti gli elementi naturali e di vita.

Questa guerra è la più crudele mai avvenuta nella striscia di Gaza, che è stata bombardata ovunque con migliaia di tonnellate di bombe. La quantità di bombardamenti chimici illegali che sono stati sganciati sulla striscia avrà impatti di lungo termine sull’acqua, l’agricoltura e l’aria… non possiamo immaginare la quantità di emissioni tossiche prodotte da bombe e armi chimiche e al fosforo bianco. Ci vorranno tanti anni per trattare ciò che rimarrà del suolo, dell’acqua, della biodiversità e della vita marina.

Già nel 2015 con la nostra valutazione ambientale della guerra del 2014 avevamo visto che la maggior parte delle aree agricole era diventata sterile, e che il 97% dell’acqua a Gaza non era potabile. Quindi potete immaginare i livelli a cui si sta giungendo adesso.

Oggi a Gaza si ha da uno a 3 litri di acqua a testa al giorno, quando è disponibile… le persone dipendono dall’acqua salata per lavarsi e lavare vestiti e spesso la bevono anche, perché non hanno accesso costante ad acqua fresca. Purtroppo questa guerra, come dicevo prima, ha preso di mira anche i nostri impianti di energia solare di trattamento e depurazione dell’acqua.

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    Redazione
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